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Introduzione alla spiritualità
 
 
don Diego Facchetti
 
 
1. La spiritualità: vita nello Spirito
 
  1.1. Rinascita della «spiritualità»  
  Stiamo assistendo oggi ad una riscoperta della «spiritualità». Grazie ad un rinnovato interesse per la preghiera, la meditazione, il pellegrinaggio, l’ascolto di testimoni, e molte altre esperienze, si parla spesso di «spiritualità», anche se non sempre in modo univoco.
In senso lato, infatti, la «spiritualità» può indicare tanto lo «stile di vita», l’atteggiamento di «fondo» di una persona, in rapporto alla sua «lettura», alla sua interpretazione dell’esistenza, quanto esperienze ben delimitate, vissute in alcuni «momenti» che, però, non sempre incidono in modo significativo sulla vita. In quest’ultimo caso si avrebbe una sorta di «spiritualità degli intervalli», fatta di momenti anche intensi, ma che non portano ad un cambiamento o ad un approfondimento della propria vita.
Tenendo conto di tale ampiezza di prospettiva, è comprensibile come sotto il nome di «spiritualità» siano presentate spesso visioni molto personali, quanto proposte più definite dal punto di vista istituzionale nelle diverse religioni, come anche spiritualità «laiche». In ogni caso, per non restare nel generico, in ogni «lettura», per quanto ampia essa sia, dovrebbero essere presenti alcune dimensioni, quali la ricerca di interiorità, la disponibilità alla crescita, al cambiamento, un certo servizio al mondo...
In relazione poi agli «intervalli», che una persona può desiderare per uscire dalla routine quotidiana, «spiritualità» oggi può indicare pure la ricerca, non sempre ben chiarificata, di momenti di preghiera, di riflessione (e fin qui nulla di male!), ma anche esperienze «al limite» o «al di là» delle possibilità umane consuete (come il contatto coi defunti o col mondo degli «spiriti»). Viene spesso presentato come «spirituale» anche l’interesse a correnti «mistiche», esoteriche, a «tecniche» di meditazione, di concentrazione, di rilassamento, apprese spesso più da apprendisti improvvisati che da autentici maestri. E l’esplorazione potrebbe continuare...
Per poterci introdurre nella spiritualità «cristiana» è perciò necessario il discernimento. Una buona «angolatura» ci pare quella di intendere come «spiritualità» l’appropriazione personale della fede e di ciò che essa comporta, il «vissuto», la vita spirituale del credente, che coinvolge esperienza e riflessione, preghiera e attività o, per dirla in termini classici, «contemplazione e azione». Tutto questo però non in termini vaghi o di sapore New Age, ma con preciso ed ineludibile fondamento nella Scrittura, nella Parola di Dio accolta e vissuta nella Chiesa.
La Scrittura stessa ci aiuta a riconoscere che, sinteticamente, la spiritualità cristiana può essere presentata come vita nello Spirito Santo, con Cristo, mediante la quale il credente partecipa alla vita stessa di Dio. Si tratta dunque di una vita suscitata e sostenuta dallo Spirito Santo, che ad esso, più che allo «spirito» dell’uomo, fa riferimento.
Per comprendere la «spiritualità» cristiana è dunque necessario riflettere sulla realtà e sull’azione dello Spirito.
 
  1.2. Parola e «spiritualità»  
  Il card. Martini offre una preziosa indicazione sul modo di «esplorare» la vita nello Spirito quando nota: «Non è facile parlare dello Spirito santo: è invisibile ed è dappertutto, pervade ogni cosa ed è al di là di ogni cosa. Tutto ciò che di bello e di positivo avviene nel mondo è opera sua, tutto ciò che di santo e di vero si fa e si dice nella Chiesa è opera sua. Ma per parlare di lui la cosa più facile è lasciar parlare lui, ascoltare il suo racconto» (Tre racconti dello Spirito…, Centro Ambrosiano, Milano 1997, p. 23).
Tale «racconto» è «narrato» nella storia dell’umanità, nella vita del popolo di Dio (Israele-Chiesa) ed in modo unico nella Scrittura, da lui ispirata.
Nella Bibbia infatti lo Spirito è continuamente presente: agisce nella creazione, nei profeti, nel Messia... È lui che «riempie l’universo e, abbracciando ogni cosa, conosce ogni voce» (Sap 1, 7); è lui che «rinnova la faccia della terra» (Salmo 103 [104], 29-30: Emitte Spiritum tuum et creabuntur…); è lui che si posa con i suoi doni sul «germoglio» che spunta dal tronco di Iesse (cfr. Is 11, 1-3).
Nella «pienezza dei tempi» lo Spirito è operante in Gesù e nei fedeli.
La vita e la parola di Gesù manifestano la potenza dello Spirito, che è su di lui «per annunziare ai poveri un lieto messaggio» e portare la liberazione (cfr. Lc 4, 18-21).
Lo Spirito, «che dà la vita» (Gv 6, 63) e «soffia dove vuole» (Gv 3, 8), è il «Consolatore» (o l’«Avvocato»), il rivelatore, l’interprete delle parole di Gesù, la guida spirituale dei credenti (cfr. i detti sul Paraclito: cfr. Gv 14, 16-17; 15, 26- 27 ecc.), il latore del perdono (cfr. Gv 20, 19-23).
Mediante lo Spirito Cristo diventa presente ed operante. Effuso sulla prima Chiesa (cfr. At 2, 1-4), col Battesimo immerge nel mistero pasquale di Cristo. Dallo Spirito il cristiano deve lasciarsi condurre: ne sperimenta l’efficacia nella preghiera (Rm 8, 26-27); da lui è sospinto alla lotta contro la «carne» ed alle opere dell’amore, gustandone «il frutto»: «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5, 16-17). Lo Spirito dispensa i carismi, ma i doni straordinari e le opere sono senza valore se non sono ispirati dalla carità (cfr. 1Cor 12, 31 - 13, 13).
Nel cammino della Chiesa lo Spirito è il protagonista e la forza trainante; è lui infatti che muove la Chiesa alla missione e crea unità, facendo passare in secondo piano tutte le differenze: «Noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito» (1Cor 12, 13).
 
  1.3. Dono da accogliere ed incarnare  
  Nella Rivelazione lo Spirito appare dunque il portatore della perenne novità. È lui che dona vita ad ogni realtà e, quindi, specialmente anche ad ogni credente. Si può condividere a questo riguardo la suggestiva riflessione di un Vescovo ortodosso: «Senza lo Spirito, Dio è lontano, Cristo resta nel passato, il Vangelo è lettera morta, la Chiesa una semplice organizzazione, l’autorità dominio, la missione propaganda, il culto un’evocazione e l’agire cristiano una morale da schiavi. Ma in lui il cosmo si solleva e geme nelle doglie del Regno, Cristo risorto è presente, il Vangelo è potenza di vita, la Chiesa significa comunione trinitaria, l’autorità è servizio liberante, la missione è Pentecoste, la liturgia è memoria e anticipazione, l’agire umano è deificato» (cfr. Ignazio IV Hazim, in E. Bianchi [ed.], Il libro delle preghiere, Einaudi, Torino 1997, p. 84).
Alla luce della Scrittura perciò comprendiamo come la spiritualità concerna tanto la vita donata nello Spirito Santo, quanto il lasciarsi afferrare da tale amore di Dio che si dona.
Sostanzialmente si tratta di una realtà unitaria, avendo come suo soggetto la Chiesa. Al contempo però essa è anche molteplice, perché ogni credente è chiamato a vivere in modo personale il suo essere «figlio di Dio nella Chiesa».
La spiritualità cristiana dovrà perciò esprimere tanto l’aspetto del coinvolgimento personale grazie all’azione efficace dello Spirito Santo, quanto l’aspetto dell’inserimento nella comunione ecclesiale. In sé unica, essa abbisogna della traduzione concreta nella situazione - e vocazione! - in cui ciascuno è chiamato a vivere.
Ci impegneremo nei prossimi interventi ad esplorare tale ricchezza, riferendoci innanzitutto al rapporto con Cristo e con il Padre ed alla necessità di una crescita costante nell’itinerario che come singoli e comunità siamo chiamati a compiere. Il tutto in una tensione continua alla santità da realizzarsi personalmente, ma pure in compagnia dei fratelli-sorelle con le quali condividiamo la risposta alla vocazione alla vita cristiana, ed alla vita consacrata in particolare.
 
 
2. La spiritualità: sequela di Cristo
 
  2.1. Una buona notizia  
  Abbiamo visto nell’articolo precedente che lo Spirito operante nell’universo, negli esseri umani, e particolarmente nella Chiesa e nei cristiani, non è una forza impersonale, ma lo Spirito di Gesù Cristo. È lo Spirito del Figlio che «nella pienezza dei tempi» (cfr. Gal 4, 4) rivela il volto di Dio, maestoso e misterioso, ma anche «misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà» (Es 34, 6).
Come ci ricorda il Concilio, Gesù mostrandoci il Padre, rivela anche noi a noi stessi. Infatti, «solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo... Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (Gaudium et spes 22).
Le pagine del Nuovo Testamento consegnano alle persone di ogni luogo e di ogni tempo la «lieta notizia», l’annuncio rivolto a tutti gli uomini che il Figlio di Dio è venuto in terra nella persona di Gesù di Nazareth, cambiando così definitivamente il corso ed il significato della vita umana.
Il credente accoglie la parola di Gesù, lo segue come discepolo, condivide la sua esistenza, in particolare il suo mistero pasquale. Gesù invita a seguirlo, anzi lui stesso chiama chi vuole affinché realizzi comunione con lui: «Io ho scelto voi» (Gv 15, 16). Al centro della comunità che così si costituisce sta la sua stessa persona: è lui «via, verità e vita» (Gv 14, 6). È lui stesso la «legge vivente e personale» del cristiano.
Come può il credente vivere questo orientamento cristologico? Sono emblematici al riguardo i «compiti» assegnati ai Dodici che, con le opportune precisazioni, possono essere applicati ad ogni cristiano. Gesù «costituisce» gli Apostoli affinché «stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demòni» (Mc 3, 14-15).
Innanzitutto, dunque, la spiritualità cristiana comporta lo «stare» con Gesù. Di qui l’importanza dell’ascolto, della meditazione, del silenzio, dell’intimità con Lui (come non ricordare il classico testo di meditazione Intimità divina del padre carmelitano Gabriele di S. Maria Maddalena, continuamente riedito ed aggiornato alla luce del Concilio?).
Si tratta di una intimità che non esclude assolutamente l’impegno verso il prossimo: Gesù stesso è indubbiamente «uomo-per-gli-altri», sino a donare la sua vita, ma è pure il primo a coltivare il rapporto unico col Padre (basti pensare alla sua preghiera, ma anche al senso di tutta la «vita nascosta»).
Nella linea del servizio al prossimo si collocano la predicazione ed i gesti di liberazione dal male. Ogni cristiano vive l’aiuto al prossimo testimoniando-annunciando il Vangelo ed operando attivamente contro il male spirituale, ma anche - per quanto possibile - contro i diversi mali fisici, sociali, culturali.
 
  2.2. Immersi nella Pasqua  
  La sequela di Gesù trasforma la vita. Quando Cristo chiama, occorre lasciare tutto: «messo mano all’aratro», non ci si deve voltare indietro (cfr. Lc 9, 62). Di fronte all’appello di Gesù, tutto il resto passa in secondo piano. Frequentemente si parla a questo proposito di radicalità evangelica. L’espressione può rendere bene l’idea, se è intesa nel senso di mantenere il legame e di ritornare continuamente alla «radice» della vita cristiana (il Vangelo), accettandone tutte le richieste.
In questa luce si situa la disponibilità del discepolo a dare la vita, che Gesù esprime chiaramente negli insegnamenti relativi al portare la croce, riportati più volte nei Vangeli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9, 23).
Portare la croce con Cristo, in Cristo, per Cristo (nella logica della dossologia eucaristica) significa vivere in stato di conversione continua. Del resto, sin dagli inizi della sua predicazione, Gesù annuncia: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1, 15). Chi ascolta (e accetta) la Parola è posto in tensione tra la realizzazione già avvenuta del Regno e la sua futura piena rivelazione nella gloria. Ora è necessario decidersi, adesso occorre adempiere le esigenze necessarie per entrare nel Regno.
La conversione è resa possibile dalla partecipazione al mistero di Gesù, specialmente al «cuore» del mistero stesso: la Pasqua. Il credente è una persona in continua Pasqua, ovvero in costante «passaggio»: dalle tenebre alla luce, dal peccato alla grazia, dall’egoismo al servizio, dall’indifferenza alla «passione» per Dio e per il prossimo, dal bene alla crescita nel Bene stesso: non si finisce mai di sondare, gustare e sperimentare il mistero di Cristo che, come Signore Risorto, è presente e vivo in modo invisibile, ma reale, in mezzo ai suoi (cfr. Mt 18, 20; 28, 20).
Nella spiritualità pasquale un ruolo basilare, oltre alla Parola, è svolto dai Sacramenti. La sequela di Gesù si fonda infatti sul Battesimo, che immerge nel mistero di morte-risurrezione (cfr. Rm 6), trova «fonte e culmine» nell’Eucaristia, ma sa apprezzare anche gli altri Sacramenti. Ci sembra che oggi sia particolarmente urgente (ri-)scoprire il valore e la necessità per l’«essere in Cristo» della Confessione-Riconciliazione.
Grazie ai Sacramenti ed agli altri momenti della Liturgia (non dimenticando altre forme di preghiera personale e comunitaria, tra le quali le espressioni della pietà popolare) si sviluppa «la vita in Cristo», che è immaginata dal teologo bizantino Nicola Cabasilas come la vita di un organismo vivente, che trova la sua maturità nella «piena conformazione a Cristo».
Il cristiano cammina sulle orme di Gesù, cercando - per sua grazia, e tenendo conto delle proporzioni! - di imitarlo. È Gesù stesso che propone la sua persona come fonte e modello di esistenza: «Venite a me… Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11, 28). Il discepolo chiede dunque di conformare il suo cuore a quello del Redentore (si può comprendere perciò il valore del riferimento al Cuore di Gesù, sul quale si è spesso soffermato Giovanni Paolo II e che speriamo noi pure di considerare in modo più appropriato in un successivo intervento).
Unendosi ai sentimenti di Gesù, il cristiano - e la persona consacrata a maggior ragione! - apprende sempre meglio il suo «pensiero» ed impara sempre più «a vedere la storia come Lui, a giudicare la vita come Lui, a scegliere e ad amare come Lui, a sperare come insegna Lui, a vivere in Lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo» (Rinnovamento della catechesi 38).
 
  2.3. Beati come Lui!  
  Gesù indica la via della «perfezione» del Padre (cfr. Mt 5, 48), che consiste, come mostra il passo - in certo senso parallelo - di Luca, nella misericordia (cfr. Lc 6, 36). Su tale via, percorsa per primo da Cristo stesso, si cammina con gli atteggiamenti delle beatitudini (cfr. Mt 5, 3-12; Lc 6, 20-26). Secondo la felice illustrazione del Catechismo della Chiesa cattolica, le beatitudini «dipingono il volto di Gesù Cristo e ne descrivono la carità», ma esse esprimono pure «la vocazione dei fedeli associati alla gloria della sua Passione e della sua Risurrezione; illuminano le azioni e le disposizioni caratteristiche della vita cristiana; sono le promesse paradossali che, nelle tribolazioni, sorreggono la speranza» e «sono inaugurate nella vita della Vergine Maria e di tutti i santi» (n. 1717).br> Gesù non solo proclama le Beatitudini. Egli vive, Egli è le Beatitudini, quelle gioie venute dal monte. Anche noi siamo chiamati a viverle. Possiamo perciò concludere queste brevi note facendo nostra la preghiera di Madeleine Delbrêl († 1964) in riferimento alle beatitudini: «Poiché le parole non son fatte per rimanere inerti nei nostri libri ma per prenderci e correre il mondo in noi, lascia, o Signore, che di quella lezione di felicità, di quel fuoco di gioia che accendesti un giorno sul monte, alcune scintille ci tocchino, ci mordano, c’investano, c’invadano. Fa’ che da esse penetrati come ‘faville nelle stoppie’ noi corriamo le strade della città, accompagnando l’onda delle folle contagiosi di beatitudine, contagiosi di gioia» (La gioia di credere, Gribaudi, Torino 1988, p. 40). Non ha forse particolarmente bisogno il nostro tempo di un Cristianesimo serio, amoroso, ma anche gioioso? Imploriamolo per noi, per intercessione di Maria, Causa nostrae laetitiae.  
 
3. Una spiritualità del Cuore
 
  3.1. Il Maestro chiede il cuore  
  L’esistenza cristiana, vissuta nella docilità allo Spirito, nella sequela di Cristo, nell’obbedienza al Padre, non si esaurisce in una serie di gesti o di «pratiche» esterne: essa domanda il coinvolgimento di tutto l’essere umano, a partire da quel centro propulsore che è il suo «cuore».
Già Israele è chiamato ad amare il Signore suo Dio «con tutto il cuore» (Dt 6, 5), a custodire la fedeltà alla sua alleanza nel cuore (cfr. Dt 4, 39), ad onorarlo non solo con le labbra, ma a stargli vicino con il cuore (cfr. Is 29, 13; Mc 7, 6.21-23).
Il cuore indica dunque l’interiorità profonda, il centro dell’uomo, la sede dei sentimenti, ma anche delle decisioni. È il luogo in cui la libertà dell’uomo «gioca» il suo rapporto con Dio, il cardine della vita morale, il centro dinamico da cui provengono il bene ed il male. Gesù affermerà: «Dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (Lc 12, 34). Il cuore può essere «indurito» (Ez 2, 4), ma può pure accogliere l’azione rinnovatrice di Dio nella conversione. Perciò il Salmista invoca: «Crea in me, o Dio, un cuore puro» (Sal 50 [51], 12) ed il profeta Ezechiele trasmette l’annuncio: «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne» (Ez 36, 26).
Nel cuore si devono radicare gli atteggiamenti, le virtù del credente: la generosità e radicalità nell’accogliere la parola (cfr. Lc 2, 19), l’umiltà (cfr. Mt 11, 29), il perdono (cfr. Mt 18, 35), la purezza (cfr. Mt 5, 8), la preghiera (cfr. 1Pt 3, 15); soprattutto la fede, la speranza, la carità (cfr. Mt 22, 37-39; 1Cor 13, 13).
La visione biblica corrisponde alla profonda percezione antropologica: il «cuore», come termine primordiale, designa «tutto l’uomo», in quanto persona corporea e spirituale, giungendo a significare il centro originario e più intimo, il nucleo centrale della persona umana, che sintetizza tutti i suoi elementi costitutivi. Da tale centro deriva l’atteggiamento che l’uomo assume verso sé, ma anche verso Dio e verso il prossimo.
Il credente orienta il suo cuore, la sua vita alla conformità con Cristo.
 
  3.2. Il Cuore del Figlio  
  Gesù si presenta come compimento della promessa di un cuore nuovo, alla cui «scuola» sono chiamati i credenti: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11, 29). Giovanni Paolo II osservava al riguardo: «Forse una sola volta, con parole sue, il Signore Gesù si è richiamato al proprio cuore. E ha messo in evidenza questo unico tratto: ‘mitezza e umiltà’. Come se volesse dire che solo con questa via vuole conquistare l’uomo; che mediante ‘la mitezza e l’umiltà’ vuole essere il Re dei cuori. Tutto il mistero del suo regnare si è espresso in queste parole. La mitezza e l’umiltà coprono in un certo senso tutta la ‘ricchezza’ del Cuore del Redentore, di cui ha scritto San Paolo agli Efesini [cfr. Ef 3, 18-19]. Ma anche quella ‘mitezza e umiltà’ lo svelano pienamente, e meglio ci permettono di conoscerlo e di accettarlo; lo fanno oggetto di ammirazione suprema» (Udienza 20/6/1979; testo riportato da C. Drazek, Il Cuore di Gesù nell’insegnamento del Papa Giovanni Paolo II, AdP, Roma 2005, p. 213. Ci permettiamo di raccomandare vivamente questo libro).
Tutto il Vangelo rivela la bontà misericordiosa e la carità immensa del Cuore di Gesù verso tutte le persone: i bambini, i malati, i poveri, i peccatori… Alcuni brani aiutano in particolare a «leggere» il mistero del cuore.
S. Giovanni ci ricorda che quello di Gesù è un Cuore trafitto (cfr. Gv 19, 34-37; con i richiami a Es 12, 46; Sal 33 [34], 21; Zc 12, 10). La Liturgia legge in profondità tale realtà affermando: «Innalzato sulla croce, nel suo amore senza limiti [Cristo] donò la vita per noi, e dalla ferita del suo fianco effuse sangue e acqua, simbolo dei sacramenti della Chiesa, perché tutti gli uomini, attirati al Cuore del Salvatore, attingessero con gioia alla fonte perenne della salvezza».
Al costato aperto del Crocifisso si ricollega l’invito dell’«acqua viva» di Gv 7, 37-39. Papa Benedetto nota al riguardo che «l’uomo può - come ci dice il Signore - diventare sorgente dalla quale sgorgano fiumi di acqua viva (cfr. Gv 7, 37-38). Ma per divenire una tale sorgente, egli stesso deve bere, sempre di nuovo, a quella prima, originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore trafitto scaturisce l’amore di Dio (cfr. Gv 19, 34)» (Deus Caritas est 7).
L’attenzione non deve fermarsi solo alla Passione, come talora può essere accaduto: il mistero del Cuore di Cristo coinvolge la risurrezione ed il dono dello Spirito. Nel Cenacolo Cristo risorto porta il grande annuncio della misericordia divina, ne affida agli apostoli il ministero, addita le ferite della Passione, tra le quali la ferita del cuore (cfr. Gv 20, 19-23). A Tommaso Gesù dirà: «Stendi la tua mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». Ed ognuno può rispondere con fede: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20, 28).
 
  3.3. Un Cuore aperto a Dio ed al mondo  
  La dedizione di Gesù al Padre e la sua esistenza per noi - manifestate nel suo Cuore - sono tanto oggetto di contemplazione, quanto fonte di impegno per il servizio di Cristo e dei fratelli.
Non stupisce perciò che la spiritualità cristiana abbia vissuto come via alla comunione con Cristo il culto al Cuore di Gesù, richiedente adorazione, consacrazione, riparazione, ma anche impegno apostolico. Per inciso, notiamo che in questa direzione vi sono stati decisi contributi del «genio femminile»: basterebbe ricordare - ma si tratta solo di una esemplificazione - santa Geltrude di Helfta († 1301/2), santa Margherita M. Alacoque († 1690), la beata Caterina Volpicelli († Napoli 1894), santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo († 1897), santa Maria Faustina Kowalska († 1938)…
Una tale accentuazione - nonostante la crisi che ha colpito le sue espressioni tradizionali, come del resto molte altre forme della vita e della preghiera cristiana - mantiene, anzi può ben rivelare ancor oggi, la sua attualità. Incentrata sull’amore, essa risponde alla necessità di ogni persona di essere amata, mostrando l’Amore misericordioso di Dio. Quanto mai fedeli alla Rivelazione e pertinenti ai bisogni della Chiesa e del mondo del nostro tempo sono le sue caratteristiche: cammino all’unione con Dio in Gesù Cristo nello Spirito, interiorità, abbandono alla volontà del Padre, conversione, carità fraterna, dimensione missionaria, trasformazione del cuore.
Si tratta senza dubbio di caratteristiche che possono essere vissute con diverse modalità di espressione (come la storia testimonia), modalità che non sono da ritenersi esaurite. Occorre anche notare che l’attenzione al Cuore di Gesù non si colloca in opposizione o concorrenza con altre forme di spiritualità o di «devozione», ma piuttosto come animazione ed approfondimento delle diverse esperienze, conducendo alla centralità dell’amore di Dio e del prossimo.
Un aspetto forse non sempre sottolineato è pure la ricchezza ecumenica di questo riferimento. L’Oriente è molto attento al tema del «cuore», del suo raccoglimento, della sua purificazione, ed ha sviluppato la «preghiera del cuore» (detta anche preghiera di/a Gesù), resa popolare dai Racconti di un pellegrino russo. Perché non realizzare una respirazione congiunta dei due «polmoni» della Chiesa, proprio indirizzando il cuore dell’uomo all’incontro e alla sua plasmazione sul Cuore del Redentore? (cfr. M. Evdokimov, Aprire il proprio cuore. Un percorso spirituale, Gribaudi, Milano 2005).
Quanto poi alla missionarietà, potremmo ricordare la testimonianza della beata M. Teresa di Calcutta († 1997). Prima di ricevere il Nobel per la Pace, così si presentò ai giornalisti: «Di sangue sono albanese. Ho la cittadinanza indiana. Sono una monaca cattolica. Per vocazione, appartengo al mondo intero. Nel cuore, appartengo interamente al Cuore di Gesù» (in T. Bosco [ed.], I pensieri più belli di Madre Teresa, LDC, Leumann (TO) 1996, p. 5).
Le origini, le vocazioni, i carismi… possono essere i più diversi, ma ognuno/a può vivere questa appartenenza, affinché si realizzi il disegno del Padre: «fare di Cristo il cuore del mondo».
Tenendo fisso lo sguardo su Gesù, che «ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo» (Gaudium et spes 22), chiediamo a Maria di saper fare come lei che - unita in modo unico al Cuore di Cristo - «serbava tutte queste cose [parole-eventi del suo Figlio] meditandole nel suo cuore» (Lc 2, 19).
 
 
5. Spiritualità: comunione gioiosa ed esigente al mistero pasquale. Mistica ed ascesi
 
  5.1. Chiamati alla mistica  
  Il progresso spirituale – che abbiamo almeno sinteticamente richiamato nel contributo precedente – tende all’unione sempre più intima con Cristo. Tale unione può ben denominarsi «mistica», perché realizza la partecipazione al mistero di Cristo.
Nella Scrittura il mistero è il piano salvifico di Dio. «Nascosto da secoli e da generazioni», esso è «ora manifestato» in Cristo (Col 1, 26): in lui si realizza l’unità fra Dio e l’uomo (cfr. Ef 3, 6).
Il cristiano «conosce» questo mistero, entrando in profondità nell’evento salvifico, facendo esperienza di esso, e «rimanendo» (secondo il linguaggio di S. Giovanni) nella comunione di vita con il Figlio di Dio e – attraverso di lui – con il Padre nello Spirito («Rimanete in me e io in voi... Rimanete nel mio amore»: Gv 15, 4-9).
«Mistico» in tal senso è allora il modo di accostare la Bibbia che legge tutti i testi dell’Antico e del Nuovo Testamento come messaggio di Cristo, come segni del suo mistero; «mistica» è la comunione al Signore crocifisso e risorto nella Liturgia (particolarmente nei segni sacramentali, i «santi misteri»). «Mistica» è, infine, la conoscenza di Dio per esperienza diretta (la cognitio Dei experimentalis attestata dalla tradizione spirituale).
Se dunque è «mistico» l’incontro esistenziale con Dio che si rivela in Cristo, che viene a noi nella Parola, nell’evento sacramentale, nella vita quotidiana, la «mistica» non si pone ai margini della vita cristiana, ma conduce al cuore dell’evento salvifico.
Essa non andrà, perciò, semplicemente identificata – come talora avviene – con fenomeni «straordinari» o inusuali, anche se Dio, naturalmente, è libero di concedere in modo gratuito i suoi doni particolari. Il Catechismo della Chiesa cattolica afferma che «Dio chiama tutti a questa intima unione con lui, anche se soltanto ad alcuni sono concesse grazie speciali o segni straordinari di questa vita mistica, allo scopo di rendere manifesto il dono gratuito fatto a tutti» (n. 2014). Del resto, i grandi mistici hanno sempre messo in guardia da una valutazione esagerata della propria esperienza che, in ogni caso, non deve essere ricercata per se stessa, e non deve far ignorare i bisogni dei propri fratelli.
Nella storia sono state molteplici le espressioni proposte per descrivere un’esperienza che non si può adeguatamente rendere con parole: spesso la vicinanza tra Dio e l’uomo è illustrata con l’immagine dell’unione più stretta esistente fra le persone, quella sponsale.
Non mancano pure cenni di una mistica dell’«assenza» di Dio, come partecipazione al vissuto di Cristo crocifisso (cfr. Mt 27, 46; Sal 21 [22], 2). Se adeguatamente intesa – e sempre connessa alla risurrezione – anche tale esperienza può ricordare che il criterio della vita spirituale va riconosciuto non nella gratificazione, ma nell’obbedienza filiale, la quale, anche quando sembra di percepire l’«abbandono» da parte di Dio, consente di vivere strettamente uniti a lui.
Questo ci aiuta a comprendere come la vita cristiana – esistenza di fede-speranza-carità – comporta necessariamente (in risposta al dono ricevuto) un atteggiamento di sforzo costante, di allenamento, di impegno, in cui è implicita anche la necessità della rinuncia, l’esigenza del distacco. Tutto questo viene espresso con la categoria – che oggi non gode sempre di simpatia – dell’ascesi.
 
  5.2. Sulla «strada stretta» dell’ascesi  
  Che l’accoglienza del Regno implichi un impegno costante risulta chiaro già dalla sintesi della predicazione di Gesù: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1, 15).
La serietà della sequela di Gesù viene mostrata soprattutto dai cosiddetti testi «radicali» del Nuovo Testamento, in cui Gesù richiede di rinnegare se stessi, di prendere la propria croce ogni giorno, di perdere la vita per suo amore (cfr. Lc 9, 23-24), di essere pronti a separarsi da tutto (cfr. Lc 14, 25-33; Mt 10, 37-39; 19, 10-12), di amare il prossimo senza riserve (cfr. Mt 5, 38-42; 18, 22), riconoscendo –alla fine – di essere «servi inutili » (Lc 17, 10).
L’ascesi del cristiano consiste, dunque, in un’azione – gioiosa talora, faticosa talvolta, intensa (almeno idealmente) sempre – per vivere in profondità la fede, la speranza e la carità. Ciò comporta anche un impegno profondo di fronte alla permanente minaccia del peccato ed un uso sapiente e genuinamente libero dei beni del «mondo». Ma tutto è caratterizzato da un’ottica cristocentrica: Gesù, oltre che il fondamento, è anche la misura del nostro essere. Nella sua morte e risurrezione è segnato il cammino e delineata la forma della nostra vita (cfr. Fil 2, 5-11).
L’ascesi cristiana non comprime, ma sviluppa le capacità della persona, la apre verso Dio e verso i fratelli: il radicalismo è al servizio dell’essere discepoli, per realizzare la vocazione battesimale di conformità al Signore, per liberamente «cercare e trovare Dio in tutto».
Se già a livello umano una disciplina è necessaria per lo sviluppo della personalità e per la vita sociale, a livello cristiano l’ascesi ricorda che l’esperienza credente non è mai puro dono dello Spirito, ma è sempre integrata con l’apporto personale: è questa un’esigenza che sgorga dall’economia dell’Alleanza fra il divino e l’umano. Non si tratta di lavorare solo con le proprie forze, ma di rendere possibile la risposta a Colui che già ci ha cercati e trovati.
Ascesi significa ingresso nella forma di vita di Cristo: vivere in completa dipendenza dal Padre ed orientati totalmente a lui, e nel contempo in radicale servizio agli uomini. Ma se si tratta di un evento di risposta, questo significa che al cristiano è donata la capacità di impegnarvisi; in altre parole, che l’ascesi è resa possibile dalla grazia.
 
  5.3. Grazia che porta frutto  
  Nella logica del dono da accogliere e far fruttificare, mistica ed ascesi riguardano tutti gli ambiti della spiritualità.
La vita dinanzi a Dio e con Dio (che si esprime nella lettura, meditazione, preghiera…) è basilarmente dono divino, ma è possibile solo se accompagnata da un impegno costante. È necessaria a questo proposito una disciplina nel rapporto con il tempo, un’ascesi di raccoglimento del pensiero, della fantasia, della volontà…
L’amore del prossimo, la vita con gli altri e nella Chiesa sono ricchezze che non si attuano senza fatica. Talora la vita nella Chiesa può essere faticosa a motivo degli aspetti troppo umani delle persone che la costituiscono e che occorre accettare quando non si possono cambiare le cose.
La vita nel mondo, l’accettazione responsabile dell’impegno richiesto per l’edificazione della «civiltà dell’amore», è un compito entusiasmante, ma è possibile solo là dove si affronta la fatica del lavoro, della conoscenza, della perseveranza...
La vita consacrata può ben esprimere l’attuazione del dono di grazia e delle esigenze evangeliche. Alla luce del mistero di Cristo, nella scia del Concilio, occorre perciò coltivare una lettura teologale dei voti religiosi. In tale prospettiva, povertà, castità ed ubbidienza vanno colte innanzitutto come dono: carismi del Cristo Salvatore, i voti dicono «grazia», robusta professione di fede che attesta con tutta la vita che Gesù è il vero ed unico Salvatore.
L’aspetto di rinuncia è così radicato nella continuazione della forma «chenotica» (cfr. Fil 2, 8) che l’amore e la libertà cristiana assumono al seguito di Cristo ed in condivisione con i fratelli, specialmente gli ultimi ed i più poveri.
Particolare attenzione riveste la dimensione comunitaria, che permette di sfuggire all’insidia della riduzione ascetico-individualistica. La fedeltà diventa così espressione di una vita di comunione con Cristo e con i fratelli, che lo Spirito rinnova di giorno in giorno: si tratta non solo di guardare ad impegni presi, ma di lasciarsi continuamente plasmare e rinnovare.
Sul cammino ascetico-mistico, il credente è sostenuto dalla compagnia dei Santi, particolarmente dall’esempio e dall’intercessione di Maria. Partecipe del mistero pasquale del Figlio, la Vergine Madre ha consegnato se stessa all’opera di salvezza ed ha vissuto – e vive – quell’unione profonda con Dio, che costituisce il desiderio e la ragione ultima del nostro essere ed operare.
 
  6. Spiritualità: vocazione alla santità. In comunione con la Chiesa della terra e del Cielo  
  6.1. Una proposta per tutti  
  La spiritualità cristiana può essere giustamente designata come vocazione alla «santità». La vita cristiana ha la sua fonte nella grazia «santificante» di Dio in Gesù Cristo: la grazia di Dio che si dona a noi, ci raggiunge nel più intimo con lo Spirito Santo e ci rende partecipi della sua vita. La spiritualità cristiana consiste, quindi, anzitutto nell’essere destinatari di un dono immeritato, ma è anche, allo stesso tempo, un cammino continuo verso l’obiettivo della santità di Dio.
Se infatti solo Dio è veramente santo (cfr. Is 6, 1-5; Lc 1, 35; il Gloria nella Messa: «Tu solo il Santo»), egli vuole che anche il suo popolo partecipi alla sua santità (cfr. Lev 19, 2). San Pietro scrive alle prime comunità: «Ad immagine del Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta, poiché sta scritto: Voi sarete santi, perché io sono santo» (1Pt 1, 15-16). Del resto, sappiamo come nel Nuovo Testamento col termine di «santi» sono spesso designati semplicemente i cristiani (cfr. At 9, 13; 2Cor 1, 1).
Il Concilio Vaticano II ha ricordato a ragione che tutti nella Chiesa sono chiamati alla santità, ossia alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità, e che grazie ad essa anche la società terrena sperimenta un tenore di vita più umano. Figli di Dio e partecipi della vita divina dal momento del Battesimo, i credenti devono, con l’aiuto di Dio, «mantenere nella loro vita e perfezionare la santità che hanno ricevuta» (Lumen gentium 40).
L’unica santità è attuata in un esercizio molteplice, nelle diverse «vocazioni» e nelle concrete situazioni. Tutti i credenti, perciò, «nelle loro condizioni di vita, nei loro lavori o circostanze, e per mezzo di tutte queste cose, saranno ogni giorno più santificati se tutto prendono con fede dalla mano del Padre celeste, e cooperano con la volontà divina, manifestando a tutti, nello stesso servizio temporale, la carità con la quale Dio ha amato il mondo» (ivi 41).
 
  6.3. Sulla terra con lo sguardo al Cielo  
  Insieme alla «compagnia» dei fratelli/sorelle nella fede, si dà però anche una comunione tra la Chiesa della terra e quella del Cielo. Infatti, la vita del cristiano non è caratterizzata soltanto dal legame coi credenti sulla terra, ma anche dalla comunione globale con tutti coloro che sono «in Cristo» e che hanno già raggiunto (o si stanno purificando per raggiungere) la pienezza di vita in lui. Il cristiano può trovare dunque sostegno nel suo cammino guardando ai «Santi», che realizzano la loro chiamata aprendosi e corrispondendo alla grazia ricevuta. Il confronto con la testimonianza dei Santi e delle Sante nella sua varietà offre al credente un’ulteriore possibilità per attuare il discernimento in relazione alla propria chiamata. Nell’esperienza dei Santi il cristiano infatti non trova solamente indicati beni e valori, ma anche la narrazione dei percorsi di coloro che li realizzano, gli eventi ed i doni che li accompagnano nei vari stati di vita, in base ai diversi carismi.
Si tratterà di guardare agli esempi dei Santi, testimoni del Vangelo, e di affidarci alla loro intercessione, nella fiducia che «la nostra debolezza è molto aiutata dalla loro fraterna sollecitudine» (Lumen gentium 49).
 
  6.4. Alla scuola di Maria  
  Alla sequela del loro Signore, tra i molti Santi i cristiani venerano in modo particolare la Vergine Maria e riflettono sulla sua esperienza spirituale.
Maria svolge un ruolo unico nella storia della salvezza, come Madre di Dio e Madre della Chiesa. Anche il suo vissuto è dunque assai illuminante per i credenti. Ne ricordiamo solo i principali caratteri, che indicano le costanti della vita cristiana, che già abbiamo incontrato nel nostro percorso.
Quella di Maria è una spiritualità profondamente pasquale: in piena docilità allo Spirito, la Vergine compie la volontà del Padre partecipando al mistero di Cristo. Ella collabora all’opera della redenzione, sia associandosi con animo materno al sacrificio della Croce, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata (cfr. Lumen gentium 58); sia vivendo in prima persona la gioia della risurrezione (Regína caeli, laetáre: allelúia!).
Maria è donna che medita e contempla: la Scrittura ce la presenta mentre «serba» tutte le «cose» (le parole e gli eventi del Figlio) «meditandole nel suo cuore» (Lc 2, 19; cfr. 2, 51).
La Madre del Signore vive le virtù evangeliche. Nella sua umiltà-povertà, riconosce che Dio «ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1, 48). Donna di speranza, non si ripiega sulla propria persona, ma gioisce nello scorgere Dio presente nella storia umana, specialmente nella liberazione dei poveri. Donna profetica, magnifica col suo canto il Dio che salva (cfr. Magnificat: Lc 1, 46-55). Pellegrina nella fede, si abbandona totalmente a Dio, anche nei momenti di oscurità, e persevera: il sabato santo nell’attesa della Risurrezione; con la Chiesa primitiva in attesa dello Spirito (cfr. At 1, 14); con la Chiesa di tutti i tempi in attesa della parusìa, la manifestazione gloriosa di suo Figlio Gesù alla fine dei tempi.
Maria è una donna che ama. Rileva Benedetto XVI: «Come potrebbe essere diversamente? In quanto credente che nella fede pensa con i pensieri di Dio e vuole con la volontà di Dio, ella non può essere che una donna che ama» (Deus Caritas est 41). Ella ama Dio con cuore indiviso (cfr. 1Cor 7, 32-34), come «serva del Signore» (cfr. Lc 1, 38.48) e dei fratelli (cfr. Gv 2, 1-12).
Ad imitazione di Maria, alla sua «scuola» spirituale, non solo la Chiesa, ma ogni anima credente è chiamata a vivere l’esperienza pasquale nello Spirito, al fine di «generare nel proprio cuore» il Cristo Signore.
Al termine della nostra breve esplorazione della spiritualità, guardiamo dunque a Maria e chiediamole che il nostro cuore rivesta sempre più i sentimenti del Cuore del suo Figlio. Nella sua prima enciclica Giovanni Paolo II notava: «Se in questa difficile e responsabile fase della storia della Chiesa e dell’umanità avvertiamo uno speciale bisogno di rivolgerci a Cristo, che è Signore della sua Chiesa e Signore della storia dell’uomo in forza del mistero della redenzione, noi crediamo che nessun altro sappia introdurci come Maria nella dimensione divina e umana di questo mistero... Maria deve trovarsi su tutte le vie della vita quotidiana della Chiesa» (Redemptor hominis 22).
 
   
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