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Scuola di Teologia dei Laici |
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Brescia 20-09-2003 |
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Carissimi Lettori (Alunni ed Amici),
Mi è stato fatto presente che tempo addietro avevo offerto l’opportunità di rendere disponibili i miei appunti su alcune “figure” significative per la loro (e la nostra!) esperienza spirituale. Poi è arrivata l’estate…
Ma, se “ogni promessa è debito”, sono lieto di assolvere l’impegno.
Troverete di seguito le note relative a S. Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo (“s. Teresina”) ed a Charles de Foucauld.
Ve le offro con l’augurio che questi appunti Vi possano aiutare a (ri-)scoprire tali grandi testimoni ed a leggere direttamente le loro opere (al termine di ogni profilo trovate una piccola bibliografia, che rende anche ragione delle sigle utilizzate).
Sempre grato a quanti mi faranno pervenire correzioni ed osservazioni, in vista di una “versione riveduta e corretta”, Vi ringrazio della Vostra stima e Vi auguro buona lettura.
Buon anno pastorale! Pace e bene! |
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don Diego Facchetti
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Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo: 2/1/1873 - 30/9/1897 - can. 17/5/1925 -
dottore della Chiesa 19/10/1997 |
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1. "Entro nella vita"
Il 30/9/1897 Teresa muore mormorando: "Oh! Io l'amo. Mio Dio
io vi amo". Pochi mesi prima aveva scritto: "Non muoio, io
entro nella vita" (LT 244 a don Maurice Bellière, 9/6/1897;
OC 584).
Tra le frasi raccolte al suo capezzale, alcune parlano di
una futura "missione":
"Sento che sto per entrare nel riposo... Ma sento soprattutto
che la mia missione sta per cominciare, la mia missione di
far amare il buon Dio come io lo amo, di dare la mia piccola
via alle anime. Se il buon Dio esaudisce i miei desideri,
il mio Cielo trascorrerà sulla terra sino alla fine del mondo.
Sì, voglio passare il mio Cielo a fare del bene sulla terra
[...] Non posso riposarmi finché ci saranno anime da salvare":
QG 17.7; OC 1028.
La sua missione sarebbe passata anche attraverso la testimonianza
degli scritti, fonte insostituibile per la sua conoscenza.
Teresa lascia tre scritti autobiografici d'ineguale lunghezza,
composti a richiesta di tre persone diverse: M. Agnese di
Gesù (la sorella Paolina divenuta priora); la sorella maggiore
Sr Maria del S. Cuore, alla quale racconta le grazie decisive
del settembre 1896; M. Maria di Gonzaga, priora dei primi
e degli ultimi anni della sua vita religiosa, che le ha richiesto
nel giugno 1897 di proseguire il racconto autobiografico iniziato
per M. Agnese.
Dopo la morte di Teresa, M. Agnese rifonde e rimaneggia i
manoscritti, che compaiono nel 1898 in un libro dal titolo
Storia di un'anima, che conosce una straordinaria diffusione.
Il lavoro per l'edizione critica degli scritti porta nel 1956
alla pubblicazione dei Manoscritti autobiografici, così come
sono usciti dalla penna di Teresa. Sono tali Manoscritti a
guidarci alla scoperta di Teresa. Ad essi vanno aggiunti gli
altri testi di Teresa (lettere; poesie; preghiere; Pie ricreazioni:
i "pezzi" teatrali scritti per le Consorelle); le parole raccolte
durante gli ultimi mesi di vita, edite criticamente negli
Ultimi colloqui (documento più importante è il cd. Quaderno
giallo di M. Agnese); i Consigli e Ricordi scritti da Sr Genoveffa
(Celina). |
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2. Infanzia ed adolescenza
Nona ed ultima figlia di Luigi Martin e Zelia Guérin (dei
quali è in corso la causa di beatificazione), Teresa nasce
il 2/1/1873 ad Alençon. In questa città vive i primi quattro
anni della sua esistenza.
Emotiva, volitiva, appassionata della verità, essa appare
soprattutto come particolarmente dotata per amare. La sua
vita così breve è ricca di gioie e di grazie, ma anche di
sofferenze e di prove. Alla fine della vita Teresa dirà:
"Mai avrei creduto che fosse possibile soffrire tanto! mai!
mai! Non posso spiegarmelo se non con gli ardenti desideri
che ho avuto di salvare anime": QG 30/9; OC 1121.
La sofferenza inizia già a 4 anni con la morte della madre
e lo "sradicamento" che comporta il lasciare Alençon per portarsi
a Lisieux, vicino allo zio Guérin.
Assetata di tenerezza, Teresa continua ad essere circondata
di affetto dal padre e dalle sorelle più grandi, che la educano
alla maniera dell'epoca. I suoi primi contatti con l'ambiente
esterno non sono molto fortunati ed i suoi timidi tentativi
di ricerca d'affetto si rivelano infruttuosi.
Un forte choc affettivo è da lei provato nel 1882 quando la
sorella Paolina, la sua "seconda madre", entra al Carmelo
di Lisieux. Teresa cade malata, e sarà il sorriso della statua
della Vergine a guarirla.
Il giorno della prima Comunione (8/5/1884) è però Gesù stesso
a farle sentire il suo amore:
"Fu un bacio d'amore, mi sentivo amata, e perciò dicevo: 'Ti
amo, mi dò a te per sempre'[...] Da molto tempo, Gesù e la
povera piccola Teresa si erano guardati e si erano capiti...
Quel giorno non era più uno sguardo, ma una fusione; non erano
più due: Teresa era scomparsa, come la goccia d'acqua che
si perde in seno all'oceano": Ms A 35r; OC 129.
La vittoria sulla sua emotività che riporta la notte di Natale
1886, la innalza ad una nuova capacità d'amore e di dono.
Dio ha "cambiato il suo cuore" (Ms A 45r; OC 145); il bisogno
d'amare supera quello d'essere amata:
"In quella notte di luce cominciò il terzo periodo della mia
vita, il più bello di tutti, il più colmo di grazie del Cielo":
Ms A 45v; OC 145.
"Da quella notte benedetta, non fui vinta in nessun combattimento;
anzi camminai di vittoria in vittoria e cominciai, per così
dire, 'una corsa da gigante!...'": Ms A 44v; OC 144.
Teresa inizia ad avvertire il richiamo delle anime:
"Una domenica, guardando una fotografia di Nostro Signore
in Croce, fui colpita dal sangue che colava da una delle sue
mani Divine: provai un grande dolore pensando che quel sangue
cadeva a terra senza che nessuno si desse premura di raccoglierlo,
e decisi di tenermi in spirito ai piedi della Croce per ricevere
la rugiada Divina che ne sgorgava, comprendendo che avrei
dovuto, in seguito, spargerla sulle anime... Anche il grido
di Gesù sulla Croce mi riecheggiava continuamente nel cuore:
'Ho sete!'. Queste parole accendevano in me un ardore sconosciuto
e vivissimo": Ms A 45v; OC 145-146.
Allora adotta spiritualmente il suo "primo figlio": (Ms A
46v; OC 147), il criminale Pranzini. Il movente che la spinge
è chiaro:
"Volevo amare, amare Gesù con passione, dargli mille segni
di amore fintanto che potevo": Ms A 47v; OC 149.
I desideri della vita religiosa diventano intanto sempre più
imperiosi. A 14 anni, la sera di Pentecoste, nel giardino
dei Buissonnets, si confida col padre. Saprà vincere tutte
le resistenze e convincere i prudenti ecclesiastici per accedere
al Carmelo. Vi entra il 9/4/1888. Lo scopo è chiaro:
"Sono venuta per salvare le anime e soprattutto a pregare
per i sacerdoti": Ms A 69v; OC 187. |
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3. Al Carmelo.
I nomi Il proposito riguardo ai sacerdoti si è precisato nel
viaggio in Italia, intrapreso per ricorrere al Papa ed ottenere
il permesso di entrare al Carmelo:
"Pregare per i peccatori mi avvinceva, ma pregare per le anime
dei sacerdoti, che credevo più pure del cristallo, mi sembrava
strano !... Ah, ho capito la mia vocazione in Italia [...]
Per un mese ho vissuto con molti santi sacerdoti e ho capito
che, se la loro sublime dignità li innalza al di sopra degli
angeli, ciò non toglie che siano uomini deboli e fragili [...]
Che bella la vocazione che ha per scopo di conservare il sale
destinato alle anime! Questa è la vocazione del Carmelo, poiché
l'unico fine delle nostre preghiere e dei nostri sacrifici
è di essere l'apostola degli apostoli, pregare per loro mentre
evangelizzano le anime": Ms A 56r; OC 164-165.
Essa entra al Carmelo "senza alcuna illusione" (cf. Ms A 69v;
OC 186); e vi sa portare prove pesanti, in un ambiente austero.
Veste l'abito carmelitano il 10/1/1889 ed emette la professione
perpetua l'8/9/1890. Appena tre anni dopo è nominata aiutante
della maestra delle novizie. Occuperà tale ufficio sino alla
morte.
Come per Teresa d'Avila, anche per lei la s. Umanità di Cristo
è al cuore di tutta la vita cristiana:
Gesù è "mia sola pace, mio solo gaudio, mio solo Amore": P
36.1: Solo Gesù!; OC 695.
Chiede di potersi chiamare "sr Teresa di Gesù Bambino e del
Volto Santo". Ella vivrà particolarmente questi due misteri.
a) l'infanzia: Teresa è affascinata dal Verbo di Dio fatto
bambino (cf. Ms A 64r-v; PR 5: Le Divin Petit Mendiant de
Noël, per il Natale 1895: OC 851-864) e coltiva lo "spirito
dell'infanzia". Scrive M. Agnese:
"Le chiesi che cosa intendeva con 'restare una bambina piccola
davanti al buon Dio'. Mi rispose: É riconoscere il proprio
nulla, aspettare tutto dal buon Dio, come un bambino piccolo
aspetta tutto da suo padre; è non inquietarsi di nulla, non
guadagnare ricchezze [...] vuol dire anche non attribuirsi
affatto le virtù che si praticano [...] Infine, è non scoraggiarsi
affatto delle proprie colpe, perché i bambini cadono spesso,
ma sono troppo piccoli per farsi molto male": QG 6.8.8; OC
1060-1061.
Perciò conserva la sua fiducia anche quando si addormenta
durante la preghiera:
"Dovrei sentirmi desolata perché dormo (da 7 anni) durante
le mie orazioni e i miei ringraziamenti, ebbene, non sono
desolata... penso che i bambini piccoli piacciono ai loro
genitori quando dormono come quando sono svegli; penso che
per fare delle operazioni, i medici addormentano i malati.
Infine penso che: 'il Signore vede la nostra fragilità, e
si ricorda che noi siamo solo polvere'[Sal 102 (103),14]":
Ms A 75v-76r; OC 196.
Il bambino nelle braccia del padre è l'immagine dell'abbandono
in Dio:
"La mia via è una via tutta di fiducia e d'amore; io non capisco
le anime che hanno paura di un così tenero Amico. Talvolta,
quando leggo certi trattati spirituali, nei quali la perfezione
è presentata attraverso mille ostacoli, circondata da una
folla di illusioni, il mio povero spirito si stanca molto
presto; chiudo il dotto libro, che mi rompe la testa e mi
inaridisce il cuore, e prendo la Sacra Scrittura. Allora tutto
mi appare luminoso: una sola parola svela alla mia anima orizzonti
infiniti; la perfezione mi appare facile; vedo che basta riconoscere
il proprio niente e abbandonarsi come un bambino nelle braccia
del buon Dio": LT 226, 1v-2r, a P. Roulland, 9/5/1897; OC
573.
Sentirsi piccoli, bisognosi di aiuto, di perdono, di grazia:
è con questo messaggio che Teresa guarisce la Chiesa del suo
tempo dagli ultimi sintomi di giansenismo. Non si ottiene
l'impegno degli uomini solo insegnando loro a temere la severa
giustizia di Dio, ma provocando piuttosto lo stupore di sentirsi
amati al di là di ogni merito.
b) Teresa coltiva anche la memoria della passione, richiamata
in modo speciale dal S. Volto (cf. Pr 12.16; OC 947-950 e
Il mio Cielo quaggiù, cantico al S. Volto: P 20; OC 662-663).
"Guarda il suo Volto adorabile! Guarda quegli occhi spenti
e abbassati! Guarda quelle piaghe! Guarda Gesù nel suo Volto
e lì vedrai come ci ama": LT 87 a Celina, 4/4/1889; OC 379.
Si tratta di un amore che conduce ad amare e soffrire:
"La Santità non consiste nel dire cose belle, non consiste
neppure nel pensarle o nel sentirle! La santità consiste nel
soffrire e nel soffrire di tutto. 'La Santità! bisogna conquistarla
con la spada sguainata, bisogna soffrire, bisogna agonizzare!'
[cit. del P. Pichon]": LT 89, 2v, a Celina, 26/4/1889; OC
381.
"Il merito non consiste nel fare né nel donare molto, ma piuttosto
nel ricevere, nell'amare molto! [...] Lasciamogli [a Gesù]
prendere e dare tutto quel che vorrà: la perfezione consiste
nel fare la sua volontà": LT 142 a Celina, 6/7/1893; OC 451.
L'amore conduce sino a morire come Lui:
"Nostro Signore è morto sulla Croce, nelle angosce, ed ecco,
tuttavia, la più bella morte d'amore [...] Morire d'amore
non è morire fra i trasporti. Glielo confesso francamente,
credo che sia ciò che provo": QG 4.7.2; OC 1001.
E con lui "tutto è grazia":
"Se una mattina mi trovaste morta, non addoloratevi: è che
Papà il buon Dio è venuto molto semplicemente a prendermi.
Senza dubbio è una grande grazia ricevere i Sacramenti; ma
quando il buon Dio non lo permette, va bene lo stesso, tutto
è grazia": QG 5.6.4; OC 987. |
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4. Luce e tenebre
Nella vita di Teresa non c'è niente di straordinario in apparenza,
se non un modo di compiere alla perfezione l'ordinario. E
tuttavia nei suoi scritti si trovano esperienze altissime.
Due anni prima della sua morte, il 9/6/1895, si offre all'Amore
misericordioso:
"Quest'anno il 9 giugno, festa della Santissima Trinità, ho
ricevuto la grazia di capire più che mai quanto Gesù desideri
essere amato. Pensavo alle anime che si offrono come vittime
alla Giustizia di Dio allo scopo di stornare e di attirare
su di sé i castighi riservati ai colpevoli [...] 'O mio Dio!
esclamai in fondo al cuore, ci sarà solo la tua Giustizia
a ricevere anime che si immolano come vittime? Il tuo Amore
Misericordioso non ne ha bisogno anche lui?'": Ms A 84r; OC
209-210.
In seguito all'offerta "fiumi o meglio... oceani di grazie"
vengono ad inondare la sua anima:
"Da quel giorno felice, mi sembra che l'Amore mi penetri e
mi circondi, mi sembra che ad ogni istante questo Amore Misericordioso
mi rinnovi, purifichi la mia anima e non vi lasci nessuna
traccia di peccato": Ms A 84r; OC 210.
Eccola pronta ad avvicinarsi ai peccatori e a condividere,
in certo modo, la loro condizione. Infatti a Pasqua del 1896
la sua fede, così luminosa sino a quel momento, sembra entrare
nel dubbio e nella notte, portando la grande incredulità del
suo tempo. Nello stesso tempo si manifesta la tubercolosi.
"Gesù mi ha fatto sentire che ci sono veramente delle anime
che non hanno la fede [...] Permise che la mia anima fosse
invasa dalle tenebre più fitte [...] Bisogna aver viaggiato
dentro questo cupo tunnel per capirne l'oscurità [...]
Non è più un velo per me, è un muro che si alza fino ai cieli
e copre il firmamento stellato!... Quando canto la felicità
del Cielo, il possesso eterno di Dio, non provo alcuna gioia,
perché canto semplicemente ciò che voglio credere": Ms C 5v;
7v; OC 238-239. 241. In questa "notte della fede", Teresa
è però convinta che Dio le ha inviato la prova solo nel momento
in cui lei aveva la capacità di accettarla:
[Il Signore] "mi ha mandato questa prova solo nel momento
in cui ho avuto la forza di sopportarla; se l'avessi avuta
prima, credo davvero che mi avrebbe gettata nello scoraggiamento...
Ora essa toglie tutto ciò che avrebbe potuto esserci di soddisfazione
naturale nel desiderio che avevo del Cielo... Madre amata,
adesso mi sembra che niente mi impedisca di prendere il volo,
perché non ho più grandi desideri se non quello di amare fino
a morire di amore... (9 Giugno)": Ms C 7v; OC 241.
Attraverso la "notte spirituale", la distruzione del suo essere
fisico, essa raggiunge la sua statura definitiva.
In qualche momento tuttavia il velo si squarcia. |
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5. Nel cuore della Chiesa
Nel corso di un ritiro nel settembre 1896, Teresa riceve una
risposta ai desideri apostolici che la tormentano. Sin dall'infanzia
lei "sceglie tutto" (cf. Ms A 10r; OC 91); in monastero riconferma:
"Mio Dio, scelgo tutto. Non voglio essere una santa a metà;
non mi fa paura soffrire per voi, non temo che una cosa: conservare
la mia volontà. Prendila, perché 'scelgo tutto' quello che
vuoi tu!...": Ms A 10v; OC 91. Nel Ms B presenta i suoi desideri,
le sue "speranze che si dilatano all'infinito" (Ms B 2v; OC
221), le diverse vocazioni che sente: guerriero, prete, apostolo,
martire, missionario:
"Vorrei essere missionaria non solo per qualche anno, ma vorrei
esserlo stata dalla creazione del mondo ed esserlo fino alla
consumazione dei secoli": Ms B 3r; OC 222.
La risposta a questi desideri, che le facevano soffrire un
"vero e proprio martirio" (ib.), giunge dalla Scrittura: 1Cor
12-13 la illumina e sulle diverse vocazioni e sulla carità
come "via eccellente che conduce sicuramente a Dio" (Ms B
3v; OC 223).
"Capii che se la Chiesa aveva un corpo, composto da diverse
membra, il più necessario, il più nobile di tutti non le mancava:
capii che la Chiesa aveva un Cuore e che questo Cuore era
acceso d'Amore. Capii che solo l'Amore faceva agire le membra
della Chiesa: che se l'Amore si dovesse spegnere, gli Apostoli
non annuncerebbero più il Vangelo, i Martiri rifiuterebbero
di versare il loro sangue... Capii che l'Amore racchiudeva
tutte le Vocazioni, che l'Amore era tutto, che abbracciava
tutti i tempi e tutti i luoghi!... Insomma che è Eterno!...
Allora, nell'eccesso della mia gioia delirante ho esclamato:
O Gesù mio Amore... la mia vocazione l'ho trovata finalmente!
La mia vocazione è l'Amore!": Ms B, 3v; OC 223 (cit. parz.
in C 826).
Riconoscerà: "Non gli [al buon Dio] ho mai dato che amore,
allora lui mi rende amore, e non è finita, presto me ne renderà
ancora di più" (QG 22.7.1; OC 1031-1032). |
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6. Missione universale
L'"adozione" come fratelli spirituali di due missionari (1895:
il seminarista Maurice Bellière, che entrerà tra i Padri Bianchi;
1896: p. Adolphe Roulland delle Missioni Estere che partirà
per la Cina) la colma di gioia, perché essa pensa che "lo
zelo di una carmelitana deve incendiare il mondo" (Ms C 33v;
OC 274: citazione da un libro assai diffuso allora nei Carmeli).
Tra le sue "vocazioni", Teresa, come visto, sente quella dell'Apostolo,
del missionario:
"Vorrei percorrere la terra, predicare il tuo nome e piantare
sul suolo infedele la tua Croce gloriosa! Ma, o mio Amato,
una sola missione non mi basterebbe: vorrei al tempo stesso
annunciare il Vangelo nelle cinque parti del mondo e fino
nelle isole più lontane... Vorrei essere missionaria non solo
per qualche anno, ma vorrei esserlo stata dalla creazione
del mondo ed esserlo fino alla consumazione dei secoli": Ms
B 3r; OC 222.
Desidera esser inviata nei Carmeli in missione, pur consapevole
di ciò che veramente conta:
"Vorrei sì andare ad Hanoi [al Carmelo fondato nel 1895],
per soffrire molto per il buon Dio. Vorrei andarci per essere
proprio sola, per non avere alcuna consolazione sulla terra":
QG 15.5.6; OC 976.
Nella malattia, come abbiamo notato, sente imminente la sua
"missione":
"Sento che sto per entrare nel riposo... Ma sento soprattutto
che la mia missione sta per cominciare, la mia missione di
far amare il buon Dio come io lo amo, di dare la mia piccola
via alle anime. Se il buon Dio esaudisce i miei desideri,
il mio Cielo trascorrerà sulla terra sino alla fine del mondo.
Sì, voglio passare il mio Cielo a fare del bene sulla terra
[...] Non posso riposarmi finché ci saranno anime da salvare":
QG 17.7; OC 1028. |
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7. La "piccola via"
Teresa desidera mostrare una via "semplice" a Dio. Il quadernetto
che Celina aveva portato con sé nell'entrare al Carmelo nel
1894 e che contiene un piccolo florilegio di pagine dell'AT,
la aiuta nella sua ricerca. Il desiderio di essere santa si
era sino allora scontrato con la differenza che lei rilevava
tra i santi e se stessa. Tuttavia
"Invece di scoraggiarmi, mi sono detta: il Buon Dio non potrebbe
ispirare desideri irrealizzabili; quindi, nonostante la mia
piccolezza, posso aspirare alla santità. Farmi diversa da
quel che sono, più grande, mi è impossibile: mi devo sopportare
per quello che sono con tutte le mie imperfezioni; ma voglio
cercare il modo di andare in Cielo per una piccola via bella
dritta, molto corta, una piccola via tutta nuova": Ms C 2v;
OC 235.
La sua "piccola via" sarà via d'infanzia, di fiducia e dedizione
completa in Dio che, come un ascensore, solleva a sé:
"Siamo in un secolo di invenzioni: oggi non vale più la pena
di salire i gradini di una scala: nelle case dei ricchi un
ascensore la sostituisce vantaggiosamente. Vorrei trovare
anch'io un ascensore per innalzarmi fino a Gesù, perché sono
troppo piccola per salire la dura scala della perfezione":
Ms C 2v-3r; OC 235.
Teresa trova nella Scrittura la risposta liberatrice:
"Ho cercato nei libri santi l'indicazione dell'ascensore,
oggetto del mio desiderio; e ho letto queste parole uscite
dalla bocca della Sapienza Eterna: Se qualcuno è molto piccolo,
venga a me [Pr 9,4; cf. Ms B 1r; OC 218. Vers. CEI: 'Chi è
inesperto accorra qui'] [...] ho continuato le mie ricerche
ed ecco quello che ho trovato: 'Come una madre accarezza il
figlio, così io vi consolerò: vi porterò in braccio e vi cullerò
sulle mie ginocchia!' [Is 66,13.12]": Ms C 3r; OC 235-236.
Allora può concludere:
"L'ascensore che mi deve innalzare fino al Cielo sono le tue
braccia, o Gesù! Per questo non ho bisogno di crescere, anzi
bisogna che io resti piccola, che lo diventi sempre più":
Ms C 3r; OC 236. |
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8. Preghiera
"Siccome le chiedevo se qualche volta smarrisse la presenza
di Dio, molto semplicemente mi rispose: 'No di certo! credo
di non aver mai trascorso tre minuti senza pensare al buon
Dio'. Le significai la mia sorpresa che una tale applicazione
fosse possibile. Ed essa mi rispose: 'Si pensa naturalmente
alla persona che si ama'": CeR 90; tr. mia.
Questo ricordo di Sr Genoveffa (Celina) mostra un aspetto
caratteristico della preghiera di Teresa: essa era continua.
Sempre Celina attesta:
"Un giorno entrai nella cella della nostra cara sorellina,
e rimasi colpita dalla sua espressione di grande raccoglimento.
Cuciva con alacrità e nello stesso tempo sembrava immersa
in una profonda contemplazione; le domandai: 'A cosa pensate?
- Medito il Pater, mi rispose. É così dolce chiamare il buon
Dio nostro Padre!...' E delle lacrime brillarono nei suoi
occhi": CeR 94-95; tr. mia.
"Un giorno che la Comunità era occupata nelle pulizie quando
suonò l'ora della preghiera e che occorreva continuare il
lavoro, suor Teresa, che mi osservava lavorare con ardore,
mi domandò: 'Cosa fate? - Lavo, risposi io. - Va bene, riprese
lei, ma dovete pregare interiormente: è il tempo del buon
Dio, e non bisogna prenderglielo": CeR 89; tr. mia.
Teresa fa uso di testi: ancora bambina legge assiduamente
l'Imitazione di Cristo, le conferenze dell'abbé Arminjon,
ma soprattutto è attirata dalla Scrittura, così da affermare:
"Se fossi stata sacerdote... avrei studiato l'ebraico e il
greco per poter leggere la parola di Dio quale Egli si degnò
di esprimerla nel linguaggio umano": CeR 93-94; tr. mia.
É il Vangelo che la sostiene, viste le sue grandi difficoltà
circa la meditazione:
"Più avanti tutti i libri mi lasciarono nell'aridità e sono
ancora in questo stato. Se apro un libro composto da un autore
spirituale (anche il più bello, il più commovente), mi sento
subito serrarsi il cuore e leggo per così dire senza capire,
o se capisco, il mio spirito si ferma senza riuscire a meditare.
In questa impotenza la Sacra Scrittura e l'Imitazione mi vengono
in aiuto: in esse trovo un cibo solido e tutto puro. Ma è
soprattutto il Vangelo che mi intrattiene durante le orazioni,
in esso trovo tutto ciò che è necessario alla mia povera piccola
anima. Vi scopro sempre nuove luci, significati nascosti e
misteriosi": Ms A 83r-v; OC 208-209 (parz. cit. in C 127).
Tra le ultime righe del Ms C scrive: "Appena getto lo sguardo
nel Santo Vangelo, subito respiro i profumi della vita di
Gesù e so da che parte correre..." (Ms C 36 v; OC 278).
Per tutta la vita Teresa conserva una concezione semplice
e profonda della preghiera, senza un metodo in senso stretto:
"Alle anime semplici non servono mezzi complicati" (Ms C 33v;
OC 275).
"Per essere esaudite non è affatto necessario leggere in un
libro una bella formula composta per la circostanza [...]
A parte l'Ufficio Divino, [...] non ho il coraggio di mettermi
a cercare nei libri belle preghiere: mi viene il mal di testa,
ce ne sono tante... e poi sono tutte una più bella dell'altra!...
Non riuscirei a recitarle tutte e, non sapendo quale scegliere,
faccio come i bambini che non sanno leggere: dico molto semplicemente
al Buon Dio ciò che voglio dirgli, senza fare belle frasi,
e mi capisce sempre!...
Per me, la preghiera è uno slancio del cuore, è un semplice
sguardo lanciato verso il Cielo, è un grido di riconoscenza
e di amore nella prova come nella gioia; insomma è qualcosa
di grande, di soprannaturale, che mi dilata l'anima e mi unisce
a Gesù" (Ms C 25r-v; OC 263; parz. cit. in C 2558).
Il suo è un colloquio spontaneo e personale:
"Prega molto il Sacro Cuore. Tu lo sai: io non guardo al Sacro
Cuore come tutti; penso che il cuore del mio sposo è solo
mio, così come il mio appartiene solo a lui, e allora nella
solitudine gli parlo di questo delizioso cuore a cuore, aspettando
di contemplarlo un giorno a faccia a faccia!": LT 122, a Celina,
14/10/1890; OC 421.
Nulla togliendo alla preghiera comune:
"Amo tanto le preghiere comuni, perché Gesù ha promesso di
essere presente in mezzo a coloro che si riuniscono nel suo
nome: allora sento che il fervore delle sorelle supplisce
al mio": Ms C 25v; OC 264.
La preghiera è potente:
"Uno scienziato ha detto: 'Datemi una leva, un punto d'appoggio,
e solleverò il mondo'. Quello che Archimede non ha potuto
ottenere perché la sua richiesta non era rivolta a Dio ed
era espressa solo dal punto di vista materiale, i Santi l'hanno
ottenuto in tutta la sua pienezza. L'Onnipotente ha dato loro
come punto d'appoggio: Se stesso, e Sé Solo. Come leva: l'orazione,
che infiamma di un fuoco d'amore, ed è così che essi hanno
sollevato il mondo": Ms C, 36r-v; OC 278.
Ma non è sempre facile:
"Non mi stupisco in alcun modo che la pratica della familiarità
con Gesù le sembri un po' difficile da realizzare. Non ci
si può arrivare in un giorno, ma sono sicura che io l'aiuterò
molto più a camminare per questa via deliziosa quando sarò
liberata dal mio involucro mortale, e presto, come S. Agostino,
lei dirà: 'L'amore è il peso che mi trascina' [Conf. 13,9]":
LT 258 2r, al rev. Maurice Bellière, 18/7/1897; OC 598.
La preghiera consiste nell'amore. Testimonia Celina che, durante
la sua ultima malattia
"Una volta trovai la mia cara piccola sorella, con le mani
giunte e gli occhi rivolti al cielo:
'Che fate dunque così - le dissi - bisognerebbe cercare di
dormire!
- Non posso, soffro troppo, allora prego...
- E che cosa dite a Gesù?
- Non gli dico niente, lo amo!": CeR 214, tr. mia. |
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9. Con Maria
Teresa vede Maria come persona reale, più Madre che Regina:
"Quanto avrei desiderato essere sacerdote per predicare sulla
Santa Vergine! [...] Bisogna che veda la sua vita reale, non
supposizioni sulla sua vita; e sono sicura che la sua vita
reale doveva essere semplicissima [...] Bisognerebbe mostrarla
imitabile, fare risaltare le sue virtù, dire che viveva di
fede come noi [... Ella] è più Madre che Regina": QG 21.8.3;
OC 1080.
Nella poesia Perché t'amo, Maria, del maggio 1897 (P 54; OC
721-727), Teresa in 25 strofe percorre la "vita reale" di
Maria, secondo la cronologia dei Vangeli:
"Madre, il tuo dolce Figlio vuole che tu sia l'esempio
Dell'anima che lo cerca nella notte della fede": P 54, 15;
OC 725; tr. mia.
Nell'ultima strofa, Teresa evoca la propria storia:
"Tu che mi hai sorriso all'alba della mia vita
Vieni a sorridermi ancora... Madre... ecco la sera! [...]
Con te io ho sofferto ed ora sulle tue ginocchia
Voglio cantare, Maria, perché io ti amo
E ridire per sempre che io sono tua figlia!...": P 54, 25;
OC 727; tr. mia.
É certa che Maria comprende le difficoltà dei figli, anche
nella preghiera a lei rivolta:
"Da sola (ho vergogna a confessarlo) la recita del rosario
mi costa più che mettermi uno strumento di penitenza!... Mi
accorgo che lo dico così male! Per quanto mi sforzi di meditare
i misteri del rosario, non riesco a fissare l'attenzione...
Per molto tempo mi sono afflitta per questa mancanza di devozione
che mi stupiva, perché amo tanto la Vergine Santa che mi dovrebbe
essere facile fare in suo onore delle preghiere che le sono
gradite. Adesso mi affliggo di meno: penso che, poiché la
Regina dei Cieli è mia Madre, deve vedere la mia buona volontà
e se ne accontenta": Ms C 25v; OC 264 ad. |
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10. A mani vuote
Teresa attesta che con la guida di Gesù si ricevono gli aiuti
necessari:
"Capisco e so per esperienza 'che il regno di Dio è dentro
di noi' [cf. Lc 17,21]. Gesù non ha affatto bisogno di libri
né di dottori per istruire le anime; Lui, il Dottore dei dottori,
insegna senza rumore di parole... Non l'ho mai udito parlare,
ma sento che Lui è in me, in ogni momento, Lui mi guida, mi
ispira quello che devo dire o fare. Scopro, proprio nel momento
in cui ne ho bisogno, delle luci che non avevo ancora visto:
il più delle volte non è durante le mie orazioni che sono
più abbondanti, ma piuttosto tra le occupazioni della mia
giornata": Ms A 83v; OC 209 ad.
Il cammino allora diventa facile:
"Com'è facile piacere a Gesù, conquistare il suo cuore! Non
c'è che da amarlo senza guardare a se stessi, senza troppo
esaminare i propri difetti [...] Gesù le insegna [a Teresa...]
a giocare alla banca dell'amore, o piuttosto no, è Lui che
gioca per lei, senza dirle come fa [...]; ciò che riguarda
lei è abbandonarsi, donarsi senza riservarsi nulla, neppure
la soddisfazione di sapere quanto la banca le renda [...]
I direttori fanno camminare per la strada della perfezione
facendo fare un gran numero di atti di virtù e hanno ragione;
ma il mio direttore, che è Gesù, non m'insegna a contare i
miei atti: Egli m'insegna a fare tutto per amore, a non rifiutargli
nulla, a essere contenta quando mi dona un'occasione di provargli
che l'amo; ma questo avviene nella pace, nell'abbandono. É
Gesù che fa tutto e io non faccio nulla": LT 142, 1v-2v, a
Celina, 6/7/1893; OC 451-452 ad.
Senza preoccupazioni di meriti:
"Dopo l'esilio della terra, spero di venire a goderti nella
Patria; ma non voglio ammassare meriti per il Cielo, voglio
lavorare per il tuo solo Amore, con l'unico scopo di farti
piacere, di consolare il tuo Sacro Cuore e di salvare anime
che ti ameranno eternamente.
Alla sera di questa vita, comparirò davanti a te a mani vuote,
perché non ti chiedo, Signore, di contare le mie opere. Tutte
le nostre giustizie hanno macchie ai tuoi occhi. Voglio dunque
rivestirmi della tua propria Giustizia e ricevere dal tuo
Amore il possesso eterno di Te stesso" (Atto di offerta all'Amore
misericordioso...: Pr 6; OC 942-943 ad.; parz. cit. in C 2011). |
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11. Una rosa sfogliata
A conclusione del Ms C Teresa scrive: "Poiché Gesù è risalito
al Cielo, io posso seguirlo solo seguendo le tracce che ha
lasciato, ma come sono luminose queste tracce, come sono profumate!
Appena getto lo sguardo nel Santo Vangelo, subito respiro
i profumi della vita di Gesù e so da che parte correre...
Non è al primo posto, ma all'ultimo che mi slancio, invece
di farmi avanti con il fariseo, ripeto, piena di fiducia,
l'umile preghiera del pubblicano, ma soprattutto imito il
comportamento della Maddalena, la sua audacia stupefacente,
o meglio amorosa, che affascina il Cuore di Gesù, seduce il
mio.
Sì, lo sento, anche se avessi sulla coscienza tutti i peccati
che si possono commettere, andrei, con il cuore spezzato dal
pentimento, a gettarmi fra le braccia di Gesù, perché so quanto
ami il figliol prodigo che ritorna a Lui. Non è perché il
buon Dio, nella sua misericordia preveniente, ha preservato
la mia anima dal peccato mortale, che io m'innalzo a Lui con
la fiducia e l'amore" (Ms C, 36v-37r; OC 278-279).
Teresa ha espresso in una poesia il suo desiderio di essere
come una rosa sfogliata, sui cui petali Gesù possa camminare:
"Una rosa sfogliata si dona senza pretese per non essere più
[...]
Si cammina senza rimpianto su petali di rosa
e questi residui sono un semplice ornamento che si dispone
senza arte.
Io l'ho capito...": P 51,3.4; OC 717; tr. mia.
La carmelitana di Parigi che l'ha richiesta trova la poesia
bella, ma incompiuta: manca una strofa conclusiva, in modo
da presentare Dio che raccoglie i petali sfogliati per formare
una rosa che brilli per l'eternità. Per Teresa "amare è dare
tutto e donar se stessi" (P 54,22; OC 726), senza speranza
di contraccambio. Perciò risponde "che la buona Madre componga
lei stessa questa strofa secondo la sua idea, da parte mia
non sono per niente ispirata a farlo. Il mio desiderio è di
essere sfogliata per sempre, per rallegrare il buon Dio. Punto
e basta!..." (biglietto di sr Maria della Trinità a M. Agnese,
17/1/1935; OC 1168).
Questo è in sintonia con ciò che anche altrove Teresa esprime:
"La mia vita non è che un attimo, un'ora passeggera./ La mia
vita è solo un giorno che svanisce e fugge.
O mio Dio, tu sai che per amarti sulla terra/ non ho che oggi!...":
Il mio Canto per Oggi; P 5,1; OC 626 ad. "Guardiamo la vita
sotto la sua vera luce: è un istante tra due eternità": LT
87 a Celina, 4/4/1889; OC 378. |
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S. THÉRÈSE de l'Enfant-Jésus et de la Sainte-Face,
Oeuvres complètes (Textes et Dernières Paroles), Cerf-DDB,
Paris 1996.
S. TERESA DI GESÙ B. E DEL VOLTO S., Opere complete. Scritti
e ultime parole, LEV-OCD, Città del Vaticano-Roma 1997 (=
OC).
TERESA DI LISIEUX, Consigli e ricordi, Città Nuova, Roma 1973
(= CeR). |
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AA.VV., Nel dramma dell'incredulità con Teresa
di Lisieux, Ancora, Milano 1997.
BALTHASAR H.U. von, Sorelle nello spirito. Teresa di Lisieux
e Elisabetta di Digione, Jaca Book, Milano 1991, 3 ed.
GAUCHER G., Teresa Martin dopo la lettura critica dei suoi
scritti, Paoline, Milano 1987, 2 ed. (= G).
GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Divini amoris scientia, 19/10/1997:
EV 16/1256-1287.
SICARI A., La teologia di santa Teresa di Lisieux dottore
della Chiesa, OCD-Jaca Book, Morena (RM)-Milano 1997.
SION V., Cammino di preghiera con Teresa di Lisieux, Morcelliana,
Brescia 1985. |
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Charles de Foucauld: 15/9/1858 - 1/12/1916 - beat. 13/11/2005 |
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1. Cenni biografici 15/9/1858:
Charles-Eugène de Foucauld nasce a Strasburgo.
A 16 anni perde la fede e rimane in tale stato di indifferenza
più di 12 anni.
1876 - Entra all'accademia militare di Saint-Cyr, ma non studia
molto. Preferisce darsi ai piaceri ed organizzare ricevimenti.
Diventato maggiorenne, dilapida l'eredità. Partecipa ad una
spedizione militare in Algeria, dove combatte con impegno
e con coraggio sorprendenti.
1882 - Si ritira dall'esercito per dedicarsi all'esplorazione
del Marocco. Il contatto con la solitudine del deserto e con
la religione musulmana lo colpisce profondamente.
1886 - Alla fine di ottobre ritorna in Francia. Avviene la
sua conversione, favorita dall'esempio e dagli insegnamenti
della cugina Marie de Bondy, che gli comunica l'amore all'Eucaristia
ed al S. Cuore; e dall'abbé Henri Huvelin, che diviene suo
direttore spirituale. Capisce che deve donarsi tutto a Dio
e si mette alla ricerca della strada da seguire:
"Appena credetti che c'era un Dio, compresi che non potevo
fare altrimenti che vivere solo per Lui: la mia vocazione
religiosa risale allo stesso momento della mia fede": A Henri
de Castries, 14/8/1901; OS 623.
Ma una conversione profonda richiede tempo, specialmente per
un temperamento focoso come quello di Charles. I trent'anni,
dal giorno della conversione sino alla morte, saranno caratterizzati
da svolte improvvise, progetti falliti, incontri imprevisti.
Vuole entrare in un ordine religioso il più rigoroso possibile.
1888 - In dicembre compie un pellegrinaggio in Terra Santa,
che lo conferma nel proposito di vivere imitando Gesù nella
sua povertà.
15/1/1890 - Entra nella trappa di Notre-Dame-des-Neiges, nell'Ardèche
ed assume il nome di fratel Maria Alberico. Nel giugno parte
per il monastero più povero dell'Ordine: la trappa di Notre-Dame-du-Sacré-Coeur
ad Akbès in Siria. Lì vive sei anni ma, nonostante la condizione
di vita molto austera, desidera un maggiore spogliamento.
"Sono stato mandato a pregare un poco accanto a un povero
operaio, indigeno cattolico, morto nella frazione vicina:
quale differenza tra questa casa e le nostre abitazioni! Io
agogno Nazareth": A M. de Bondy, 10/4/1894; OS 28.
1897 - Dispensato dai voti, si reca in Terra Santa e si mette
al servizio delle clarisse di Nazaret. Vagheggia persino l'acquisto
del monte delle Beatitudini e di stabilirvisi come sacerdote-eremita.
Dopo la sua conversione, è la seconda grande svolta della
sua vita: è il punto di rottura con la vita religiosa classica,
alla ricerca della più esatta imitazione della vita nascosta
di Gesù, "il modello unico".
9/6/1901 - É ordinato sacerdote a Viviers. Durante i mesi
di preparazione al sacerdozio, il progetto di Charles matura
ulteriormente: la vita di Nazaret, ma non più in Terra Santa,
bensì in Marocco, là dove Gesù non è conosciuto.
Si stabilisce a Beni-Abbès, un'oasi ai confini del Marocco,
nella speranza di poter entrare presto nel paese, che per
ora gli è sbarrato. Tre mesi dopo l'arrivo scrive alla cugina:
"Io voglio abituare tutti gli abitanti cristiani, musulmani,
ebrei e idolatri a considerarmi come loro fratello, il fratello
universale. Essi cominciano a chiamare la casa 'la Fraternità',
e ciò mi è dolce": A M. de Bondy, 7/1/1902; OS 35.
La vita contemplativa è inserita nell'esperienza del deserto:
"Al di là di questo quadro fresco e riposante, ci sono gli
orizzonti immensi... che si perdono in questo bel cielo azzurro
del Sahara che fa pensare all'infinito e a Dio - che è più
grande - Allah akbar": A Henri de Castries, 20/11/1901; S
30, n. 96.
Si dirige a Sud, nelle zone dell'Hoggar, la patria dei tuareg,
che ancora non conoscono il Vangelo.
1905- A Tamanrasset fonda un eremitaggio analogo a quello
di Beni-Abbès, dove trascorrerà sostanzialmente gli ultimi
11 anni di vita.
Si dedica allo studio della lingua tuareg ed elabora perfino
un Dizionario tuareg-francese. Si interessa pure a possibili
progetti per uno sviluppo di quelle zone del Sahara.
Cerca di attirare cristiani convinti, disposti a condurre
nel Sahara una vita semplice secondo il Vangelo. Ma resta
solo fino alla morte. I suoi piani di fondazione di una comunità
religiosa falliscono. Più volte (1909, 1911, 1913) si reca
in Francia per trovare compagni, ma invano.
Frattanto nell'Hoggar, sull'Assekrem, a 2700 m., fonda un
nuovo eremitaggio. Charles fa la spola fra l'Assekrem e Tamanrasset
che, per proteggere i poveri, ha trasformato in una piccola
fortezza. La situazione infatti è incerta e bande di predatori
si aggirano nei dintorni.
A Nazaret il 6/6/1897 aveva scritto:
"Pensa che devi morire martire, spogliato di tutto, disteso
a terra... violentemente e dolorosamente ucciso... e desidera
che questo accada oggi!... Perché io ti faccia questa grazia
infinita, sii fedele nel vegliare e nel portare la croce":
OS 43.
Venerdì 1/12/1916, all'imbrunire, l'eremitaggio viene circondato
da un gruppo di predoni. Un traditore chiama all'esterno Charles
che, catturato, è tenuto a bada da un ragazzo, mentre gli
altri compiono il saccheggio. All'arrivo di due meharisti,
il ragazzo si spaventa e spara. Charles muore all'istante.
"Se i discepoli di Gesù potessero scoraggiarsi, quale causa
di scoraggiamento avrebbero avuto i cristiani di Roma, la
sera del martirio di san Pietro e di san Paolo! Ho pensato
spesso a quella sera: che tristezza, e come tutto sarebbe
sembrato annientato se non ci fosse stata, nei cuori, la fede
che c'era! Ci saranno sempre lotte, e sempre il trionfo reale
della Croce nella disfatta apparente": A Mons. Guérin, 29/6/1909;
OS 45. |
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2. Scritti
Charles ha scritto molto: i suoi testi occupano l'equivalente
di circa 15.000 pagine dattiloscritte. Ad eccezione delle
Costituzioni per l'Associazione dei Fratelli e delle Sorelle
del S. Cuore di Gesù, non erano destinati alla stampa. L'ed.
Nouvelle Cité di Parigi si è impegnata nell'edizione integrale
degli scritti di Charles dal 1977.
Gli scritti spirituali possono dividersi in tre gruppi:
a. Progetti di fondazione di una società religiosa;
b. Numerose lettere;
c. Meditazioni, generalmente su testi del Vangelo, e considerazioni
sulle feste liturgiche, note di ritiro e di pensieri diversi.
Circa 3/4 dei suoi scritti provengono dal periodo di Nazaret.
Per ovviare all'aridità della sua preghiera, dietro consiglio
dell'abbé Huvelin, dal marzo 1897 incomincia a scrivere le
sue meditazioni, utilizzando spesso quaderni di scuola.
In una serie di quaderni, Letture del santo Vangelo, Charles
segue uno schema tripartito:
1. Ascolta ciò che Gesù ha detto. 2. Come ha vissuto di persona
la sua parola? 3. Che cosa devo fare io?
Altri scritti riportano solo testi del Vangelo, raggruppati
secondo diversi argomenti (virtù; momenti della vita di Gesù).
Due "ritratti" di Gesù sono offerti da Il modello unico e
Il nostro tenero Salvatore.
Dopo l'ordinazione sacerdotale, Charles scrive molto meno.
A Beni-Abbès e Tamanrasset è più occupato da visite e contatti
con la popolazione. Negli ultimi dieci anni di vita studia
particolarmente la lingua dei tuareg. Scrive Il Vangelo presentato
ai poveri del Sahara e numerose Lettere, mentre le note del
diario diventano via via più sobrie. |
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3. Messaggio
Sebbene Charles non si sia mai presentato come maestro spirituale,
tuttavia nella sua copiosa corrispondenza, nelle meditazioni
e nei progetti di fondazione, egli offre degli orientamenti
che, studiati e sintetizzati, formano una dottrina spirituale.
Una dottrina la cui originalità consiste nel risalire, al
di là ed al di sopra di tutte le forme di spiritualità temporaneamente
attraversate, alla sorgente primaria: la vita secondo il Vangelo.
É costante il suo richiamo al Vangelo:
"Accettiamo il Vangelo, è per mezzo del Vangelo, secondo il
Vangelo che saremo giudicati... Non secondo questo o quel
libro di questo o quel maestro spirituale, di questo o quel
dottore, di questo o quel santo, ma secondo il Vangelo di
Gesù, secondo le parole di Gesù, gli esempi di Gesù, i consigli
di Gesù, gli insegnamenti di Gesù... Seguiamo dunque gli insegnamenti
di Gesù, i consigli, le parole, gli esempi di Gesù": MSE 478e;
OS 85.
É questo suo continuo rimando al Vangelo che spiega l'accoglienza
del suo messaggio, come quello di s. Teresa di Gesù Bambino,
da parte di una generazione preoccupata di rifiutare tutto
ciò che mostra un'apparenza di artificiale o di sistematico
per ritrovare la semplicità del Vangelo.
Stimolato da numerosi maestri spirituali, ma soprattutto da
una meditazione costante del testo stesso del Vangelo instancabilmente
ripreso, P. de Foucauld ha vissuto i valori evangelici con
forte novità ed intensità:
"Torniamo al Vangelo: se non viviamo il Vangelo, Gesù non
vive in noi. Torniamo alla povertà, alla semplicità cristiana
[...] Tornare al Vangelo è il rimedio: è ciò di cui tutti
abbiamo bisogno": A Mons. Caron, 30/6/1909; OS 698.
Possiamo individuare tre caratteristiche essenziali del suo
messaggio:
1. Imitazione di Cristo - "La tua regola.
Seguire Me. Fare ciò che farei Io. In ogni cosa chiediti:
'Che cosa avrebbe fatto Nostro Signore?' e fallo. É la tua
sola regola, ma è la tua regola assoluta": OS 300.
Seguire Cristo "che ha preso l'ultimo posto". Per Charles
sono determinanti le parole di don Huvelin ascoltate nel corso
di una predica:
"Gesù ha talmente preso l'ultimo posto che nessuno ha mai
potuto toglierglielo": B 97.
L'imitazione è condivisione col Beneamato:
"Condividere tutta la vita del Cristo, la sua povertà, la
sua abiezione, le sue persecuzioni, le sue fatiche, avere
una vita esteriore in tutto simile alla sua; e nel medesimo
tempo, sforzarsi continuamente di rendere la propria anima
il più conforme possibile alla sua santissima anima, in modo
da non formare che un cuore ed un'anima sola col nostro beneamato
Gesù": SEE 190, Lc 9,23, SS 7,76-77; B 105.
"Più noi abbracciamo la CROCE/ più stringiamo strettamente/
GESÙ/ che vi è attaccato.
Quanto più tutto ci manca sulla terra/ tanto più noi troviamo/
ciò che può darci di meglio la terra:/ la CROCE.
Vivere come se io dovessi morire oggi MARTIRE: Diario 1901-1905;
OS 311.
Del resto,
"la misura dell'imitazione è quella dell'amore. 'Se uno Mi
vuole servire, Mi segua', 'Vi ho dato l'esempio affinché come
v'ho fatto Io, facciate anche voi', 'Il discepolo non è da
più del Maestro, ma è perfetto se è simile al suo Maestro":
Direttorio dell'Unione dei Fratelli e Sorelle del S. Cuore
art. I; OS 452.
Questo in un lavoro di spoliazione che non conduce però ad
un ritiro dal mondo, ma al contrario ad un inserimento deliberato
nelle condizioni più difficili (i lavoratori agricoli dei
dintorni della trappa di Akbès; poi i beduini del Sahara...).
Vivendo la propria vocazione che non è scelta, ma accettata:
"Non sono gli uomini che devono 'scegliere' la propria vocazione;
siccome la vocazione è una 'chiamata', le parole 'scegliere
la propria vocazione' sono un non-senso. Non si sceglie la
propria vocazione, la si accetta, e si deve cercare di conoscerla,
porgere l'orecchio alla voce di Dio, spiare i segni della
sua volontà [...] e, una volta conosciuta la volontà di Dio,
bisogna farla": Direttorio dell'Unione dei Fratt. e Sorr.
del S.C. art. XVIII; OS 457.
2. Vita di contemplazione continua, ma inserita,
come quella di Gesù, Maria e Giuseppe a Nazaret, in un'esistenza
comune e non separata dagli altri uomini. Si può notare un
progresso a questo riguardo.
Per alcuni anni Charles è stato prigioniero del desiderio
orgoglioso dell'uomo moderno. Ma con la sua conversione a
"Nazaret" è diventato per il nostro tempo il segno dello spogliamento
di sé, grazie all'abbandono completo al Padre.
In una meditazione del 1897 sulle ultime parole con le quali
Gesù sulla croce si affida al Padre, Charles ha espresso questo
atteggiamento. Il nucleo di tale meditazione è divenuto la
preghiera dell'abbandono (cf. S 177; SS 119).
"Nazaret" è dunque l'intuizione fondamentale di Charles, che
si realizza a gradi.
a. In un primo momento cerca di vivere la somiglianza alla
lettera. Per questo ricerca nel Vangelo tutto quello che rimanda
alla povertà ed umiliazione del Figlio di Dio fatto uomo.
Per vivere in tal modo, non gli basta nemmeno la povertà del
priorato di Akbès.
"Il mio pensiero vitale lo sapete: imitare la vita nascosta
di Nostro Signore a Nazareth nel modo più perfetto possibile,
così come il nostro caro san Francesco imitò la sua vita apostolica":
AMB 26/12/1893 (p. 45).
b. 1901-1916: Dopo il primo periodo ricco di desideri e di
progetti, Charles realizza la vita di Nazaret: è il passaggio
dalla lettera allo spirito.
"Gli ultimi esercizi del diaconato e del sacerdozio mi hanno
mostrato che questa vita di Nazareth, la mia vocazione, dovevo
condurla non nella Terra Santa, tanto amata, ma tra le anime
più malate, tra le pecorelle più abbandonate. Questo banchetto
divino, di cui sono ministro, dovevo offrirlo, non ai fratelli,
ai parenti, ai ricchi vicini, ma ai più zoppi, ai più ciechi,
alle anime più derelitte che mancano di sacerdoti [...] E
poiché nessun popolo mi è sembrato più abbandonato di questi,
ho sollecitato e ottenuto dal rev.mo Prefetto ap. del Sahara
il permesso di stabilirmi nel Sahara algerino e di condurvi,
nella solitudine, nella clausura e nel silenzio, nel lavoro
manuale e nella santa povertà, solo, o con qualche sacerdote
o laico fratelli in Gesù, una vita per quanto è possibile
conforme alla vita del beneamato Gesù a Nazareth": A Mons.
Caron 8/4/1905; SS 181-182.
"La tua vita di Nazareth può essere condotta ovunque: conducila
nel luogo più utile per il prossimo": Diario 22/7/1915; OS
340.
Nel deserto "con sé reca solo Vangelo ed Eucaristia: il Gesù
resosi nascosto nella kenosi della Parola e delle specie eucaristiche,
per poter essere alla portata degli uomini poveri" (T. Goffi,
La spiritualità dell'Ottocento, Dehoniane, Bologna 1989, 112).
Charles parla della "santificazione dei popoli infedeli" grazie
alla presenza eucaristica.
Nell'Eucaristia e nel Vangelo incontra il Cuore di Gesù
Ne Il Vangelo presentato ai poveri del Sahara nel 21° colloquio:
Croce, scrive: "La religione cattolica [...] insegna a tutti
gli uomini [...] anche quello che bisogna fare per giungere
alla più alta santità". La "via" è quella "gloriosa della
Croce e la via dell'imitazione del nostro beneamato Signore
Gesù... Essa lo [l'uomo] illumina su questa via, nella notte
cupa di questa vita, gli dà luce, ardore e coraggio per salirla,
facendo brillare ai suoi occhi la più luminosa, la più dolce,
la più calda delle verità, la 'verità' del Sacro Cuore di
Gesù": OS 568. Commentando Lc 12,49, scrive: "Abbiamo una
grande devozione per questo Sacro Cuore di Gesù col quale
Dio ha acceso il fuoco sulla terra! Jesus Caritas: 'Sono venuto
ad accendere un fuoco sulla terra! che voglio se non che arda?'.
O mio Dio, fa' ardere questo fuoco nel mio cuore e in quello
di tutti gli uomini! Amen. É l'unica cosa necessaria": MSE
365e; OS 729.
La preghiera che vive e propone è centrata sul Vangelo:
"Bisogna cercare d'impregnarci dello spirito di Gesù leggendo
e rileggendo, meditando e rimeditando senza sosta le sue parole
ed i suoi esempi: che essi facciano nelle nostre anime come
la goccia d'acqua che cade e ricade su una pietra sempre allo
stesso posto": A Louis Massignon, 22/7/1914; OS 133.
Durante tutta la sua vita Charles non trova nessuno disposto
a vivere con lui il progetto Nazaret. Gli ultimi anni della
vita sono, in modo tutto particolare, una "notte oscura dello
spirito", in cui deve sperimentare come la sua visione di
Nazaret si è risolta in un fallimento totale. Eppure proprio
in questa notte Charles comprende ancor più profondamente
che cosa significa Nazaret, come radicamento, legame definitivo
alla popolazione dei tuareg tra i quali vive e che presto
saranno inclusi nella fascia denominata "terzo mondo". Del
resto, già a Nazaret scriveva:
"Aridità e tenebre: tutto mi è faticoso: santa comunione,
preghiera, orazione, tutto, tutto, anche dire a Gesù che L'amo...
Bisogna ch'io mi aggrappi alla vita di fede. Se almeno sentissi
che Gesù mi ama. Ma Lui non me lo dice mai": OS 299.
3. Carità attiva e fraterna al servizio del
prossimo, basata su un'amicizia attenta e concreta, che manifesta
l'unità tra gli uomini, frutto e segno dell'amore di Gesù.
"Non c'è, credo, parola del Vangelo che abbia fatto su di
me un'impressione più profonda e trasformato maggiormente
la mia vita di questa: 'Tutto ciò che fate a uno di questi
piccoli, è a Me che lo fate'. Se si pensa che tali parole
sono quelle della Verità increata, quelle della bocca che
ha detto: 'Questo è il mio corpo... questo è il mio sangue...',
con quale forza si è portati a cercare ed amare Gesù in 'questi
piccoli', in questi peccatori, in questi poveri": A Louis
Massignon, 1/8/1916; OS 724-5.
Carità che richiede l'annullarsi:
"Il nostro annientamento è il mezzo più potente che noi abbiamo
per unirci a Gesù e per fare del bene alle anime; è quel che
san Giovanni della Croce ripete quasi a ogni rigo. Quando
si può soffrire ed amare, si può molto; si può il massimo
che si può in questo mondo: si sente che si soffre, non si
sente sempre che si ama, ed è una grande sofferenza in più!,
però si sa che si vorrebbe amare, e voler amare É amare":
A M. de Bondy, 1/12/1916; OS 681.
Anche quando costa:
"Fai ogni giorno dei progressi nell'amore, nella virtù; se
ti fermi indietreggi... Lavora dunque senza sosta ed esamina
spesso a che punto sei: il mezzo per sapere se cresci, se
stai progredendo nell'amore di Dio e in tutte le virtù consiste
nel vedere se cresci nell'amore del prossimo e nell'umiltà...
Se cresci in queste due cose, è la prova certa che cresci
in tutta quanta la perfezione...": MSE 267e; OS 170.
Affrontando con coraggio i problemi, come la schiavitù:
"La schiavitù degli uomini e la patria terrena passano presto,
come la vita [...] Però, detto questo e dopo averli confortati
nella misura del possibile, mi pare che il dovere non sia
finito, e che sia necessario dire, o far dire da chi di diritto:
'non licet', 'vae vobis, hypocritae', che mettete sui francobolli
e dappertutto 'libertà, eguaglianza, fratellanza, diritti
dell'uomo' e ribadite i ceppi degli schiavi, che condannate
alla galera coloro che falsificano i vostri biglietti di banca
e permettete che si rubino i bambini ai loro genitori e si
vendano pubblicamente": A P. Martin, 7/2/1902; OS 581-582. |
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Conclusione
"Charles de Foucauld mostra una grande cultura, ma non è un
pensatore astratto. Non appartiene ai mistici dell'essenza,
come Susone o Giovanni della Croce, ma ai mistici dell'esistenza,
come Francesco d'Assisi, Vincenzo de' Paoli o Teresa di Lisieux.
Non ha elaborato alcun messaggio spirituale, ma ha dato la
testimonianza viva di un mistico del Vangelo" (GM 2, 240-241).
In particolare, Charles si pone sul versante di una "mistica
della notte", della kénosis, del silenzio di Dio, in cui Egli
si dà a conoscere tanto più chiaramente, quanto più grande
è il nascondimento.
In questo modo Charles ha vissuto una mistica adatta al nostro
tempo. Anche i nostri contemporanei ad espressioni troppo
altisonanti, preferiscono l'ascolto di voci sommesse. "Nel mondo cristiano dell'Ottocento, così travolto dalla frenesia
dell'azione apostolica assistenziale, fratel Carlo si è posto
in ascolto contemplativo della Parola e dell'eucaristia. Gesù
eucaristico gli ha offerto se stesso inattivo, silenzioso,
nascosto, una pura presenza d'amore verso noi sofferenti.
Mentre Gesù-Parola, svelata interiormente dallo Spirito, lo
ha introdotto in un apostolato assai lontano dall'azione pastorale
del servizio sociale e dell'assistenza caritativa dominante
nel secolo XIX" (T. Goffi, op. cit., 113).
Egli concepisce il prete non come una persona che si affanna
in attività apostoliche, ma che si lascia tratteggiare dallo
Spirito come icona del Cristo, è certo che l'umanità è salva
se fra essa è reso presente Gesù Cristo mediante l'Eucaristia
ed il Vangelo" (cf. ib., 190). Ma è anche disposto a lasciarsi
continuamente "lavorare": "Mi vedo con grande meraviglia passare dalla vita contemplativa
alla vita del santo ministero. Vi sono condotto, mio malgrado,
dal bisogno delle anime": A sua sorella, 17/1/1902; TPF 144
in B 66.
Testimone odierno della vita orientata nel senso della sequela
di Cristo, ricorda che:
Il "nostro solo Maestro" e "solo perfettamente santo" è Gesù:
MSE 478e; OS 85. "Tutta la nostra vita, per quanto muta essa sia, la vita di
Nazareth, la vita del deserto, così come la vita pubblica,
devono essere una predicazione del Vangelo mediante l'esempio;
tutta la nostra esistenza, tutto il nostro essere deve gridare
il Vangelo sui tetti; tutta la nostra persona deve respirare
Gesù, tutti i nostri atti, tutta la nostra vita devono gridare
che noi apparteniamo a Gesù, devono presentare l'immagine
della vita evangelica": MSE 314e; OS 367.
A Cristo occorre sempre volgersi: "Guardiamo i santi, ma non attardiamoci nella loro contemplazione,
contempliamo con essi Colui la cui contemplazione ha riempito
la loro vita.
Approfittiamo dei loro esempi, ma senza fermarci a lungo né
prendere per modello completo questo o quel santo, e prendendo
di ciascuno ciò che ci sembra più conforme alle parole e agli
esempi di Nostro Signore Gesù, nostro solo e vero modello,
servendoci così delle loro lezioni, non per imitare essi,
ma per meglio imitare Gesù": OS 11.
CHARLES DE FOUCAULD, Opere spirituali. Antologia,
Paoline, Roma 1984, 6 ed. (= OS).
Scritti spirituali, cur. SIX J.-F., Cittadella, Assisi 1969,
2 ed. (= SS).
Scritti spirituali. Giorno per giorno, cur. SOURISSEAU P.,
Piemme, Casale M. (AL) 1999.
Solo con Dio in compagnia dei fratelli. Itinerario spirituale
dagli scritti, cur. BOLIS E., Paoline, Milano 2002.
Lettere a Mme de Bondy. Dalla Trappa a Tamanrasset, intr.
GORRÉE G., AVE, Roma 1968 (= AMB).
Picc. Sor. ANNIE DI GESÙ, Charles de Foucauld,
Qiqajon, Magnano (BI) 1998.
BARRAT D. et R., Charles de Foucauld et la fraternité, Seuil,
Paris 1990.
BORRIELLO L., Sulle orme di Gesù di Nazaret. Evoluzione interiore
e dottrina spirituale di Carlo de Foucauld, Dehoniane, Napoli
1980 (= B).
LAFON M., Una voce dal deserto, Paoline, Milano 1998.
SIX J.-F., Itinerario spirituale di Charles de Foucauld, Morcelliana,
Brescia 1961 (= S).
ID., Charles de Foucauld (1858-1916), in RUHBACH G. - SUDBRACK
J. (edd.), Grandi mistici, 2, Dehoniane, Bologna 1987, 231-252
(= GM).
ID., L'Aventure de l'amour de Dieu, Seuil 1993 (con 80 lettere
inedite Foucauld-Massignon).
ID., L'eredità spirituale di Charles de Foucauld, "Famiglia
Carlo de Foucauld" 18 (1996) n. 64, 9-22.
VOILLAUME R., Charles de Foucauld e i suoi discepoli, S. Paolo,
Cinisello B. (MI) 2001. |
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